mercoledì 1 novembre 2017

Ashley Kahn: Casa del Jazz, Roma 21 ottobre 2017



Giornalista, critico musicale, docente universitario, tour manager, produttore e altro ancora, Ashley Kahn ha presentato lo scorso 21 ottobre, presso la Casa del Jazz di Roma, il suo recente libro edito da Il Saggiatore, dal titolo “Il rumore dell’anima – scrivere di jazz, rock, blues”, una raccolta di interviste e racconti scelti nel suo quarantennio di giornalismo musicale. Kahn, con competenza e sottile ironia, ha risposto alle domande del giornalista Duccio Pasqua e di alcuni spettatori presenti. Di seguito un sunto delle sue dichiarazioni



Il mondo della musica mi affascina da sempre. Ho voluto entrarci e conoscerlo in ogni suo aspetto, dalla comunità dei musicisti all’industria discografica. Se c’è un filo tracciabile in buona parte della mia scrittura è il modo in cui ho finito di appassionarmi all’idea di spiegare la musica, facendolo attraverso le sue storie. Ho una filosofia alquanto essenziale: scrivi bene, scrivi in maniera chiara, non celare l’entusiasmo e riconduci sempre il lettore alla musica.

Troppo spesso trovo la critica musicale altamente autoreferenziale, compiaciuta della sua stessa arguzia e creatività. Scrivere veramente di musica deve avere al suo centro la musica, non la scrittura. Dopo tanti anni ancora oggi mi immergo nella musica, cerco il massimo delle informazioni prima di poterne scrivere. Analizzo in maniera compiuta ogni dettaglio per poter capire e spiegare un’opera musicale. Quando ho iniziato Internet non esisteva, e la sfida di oggi è quella di esprimersi in spazi brevi, esprimersi attraverso un’estrema brevità di giudizio. Bisogna aprire le “scatole” della musica, incuriosire i fan e spingerli a darci un’occhiata dentro.

Il compito del giornalista musicale è quello di far intravedere qualcosa, non completare l’analisi per chi legge, ma dare uno strumento per conoscere maggiormente il soggetto di cui si parla. Il compito è assolto quando il lettore, una volta finito di leggere, mette da parte il testo scritto e va a cercarsi la musica di cui si parla. Questo è il compito da svolgere. Se vuoi raccontare una storia devi conoscerla. Non c’è altro sistema. Bisogna dannarsi per raggiungere chi può darti informazioni basilari, come ho fatto quando ho scritto le note di copertina di “Offering: Live At Temple University” il live album postumo di John Coltrane edito dalla Resononce Records nel 2014 (note che fecero ottenere a Kahn un Grammy Award, NdR). Ho parlato con i musicisti coinvolti in quella registrazione e con Michael Brecker, che nel 1966 era tra il pubblico di quello storico concerto. Inoltre, è importante analizzare il materiale video, le immagini, capire quale può essere la chiave di lettura della storia, il nucleo di interesse per il lettore. Altro aspetto fondamentale è capire quali sono le domande da fare agli interlocutori per arrivare al nocciolo della questione.

Nel mondo della musica c’è sempre stato bisogno di riferimenti, di etichette capaci di definire i generi, anche per far orientare l’ascoltatore in un insieme così caotico. Le categorie però non devono limitarci. Oggi le cose più interessanti si ascoltano a cavallo tra i generi, negli interstizi che separano jazz ed elettronica, jazz e hip hop e via dicendo. Lì è il futuro, e lì che si trovano le cose più interessanti. Ne è esempio un disco come “Balckstar” di David Bowie, che ospita musicisti come Donny McCaslin o Mark Guiliana.

Se c’è qualcosa che non mi piace preferisco non parlarne. In ogni decade ci siamo chiesti che fine abbia fatto la buona musica. È una costante. La difficoltà è che per giudicare la musica dobbiamo liberarci dei criteri e delle convinzioni che ci siamo creati nel passato. Molti critici soffrono questa situazione, perché non riescono ad applicare una visione imparziale alle nuove proposte, rimanendo ancorati ad assunti del passato. È importante non creare sfide, non serve, bisogna essere capaci a unire le passioni, fare confronti tra artisti e schierarsi per uno o per l’altro non serve. Il mio approccio è questo, non mi precludo niente. Bisogna essere attenti e pronti all’accogliere il nuovo.

Ai miei studenti dico di amare ogni genere musicale, non schierarsi dalla parte di un solo musicista disdegnando gli altri, sia contemporanei sia di altre epoche. Se uno studente ama un artista gli consiglio di approfondirne la conoscenza, capire per quale motivo fa quella musica, cosa l’ha portato a esprimersi in un determinato modo, per poi arrivare alle sue radici. Solo così lo studente riuscirà a farsi la muscolatura adatta ad affrontare qualsiasi altro genere o artista. La musica che ci segna è quella che ascoltiamo da giovani, fino a ventiquattro anni. Questa però deve essere la nostra base e bisogna imparare ad aprirsi e ad accettare quello che verrà in seguito. Non avere preconcetti, non essere legati a degli assunti. La musica ha un potere incredibile. Può cambiare una vita, la può salvare. Così è stato anche per me.

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