domenica 22 ottobre 2017

Stefania Tallini: Intervista a Lucca Jazz Donna 2017



In occasione della tredicesima edizione del festival Lucca Jazz Donna abbiamo incontrato la pianista e compositrice Stefania Tallini, che prima della performance in pianoforte solo, un esempio di equilibrio tra sensibilità e decisione espressiva, ci ha parlato del suo recente album “Intimidade” (AlfaMusic, 2017) in duo con il chitarrista brasiliano Guinga, dei suoi progetti futuri e non solo 

Lucca Jazz Donna è un festival dedicato alle musiciste donne. C’è ancora necessità di spazi dedicati alla realtà femminile nel jazz per sottolinearne l’esistenza?
Intanto vorrei dire che sono molto felice di essere qui, perché Lucca Jazz Donna è una manifestazione importante, per quello che fa. È già la terza volta che vi partecipo, stavolta in piano solo. Questo Festival ha sempre svolto un meraviglioso lavoro, nel saper proporre musiciste nelle vesti di leader, compositrici e arrangiatrici. In genere nel jazz, anche per la sua storia, la figura della musicista donna è sempre intesa più nel ruolo di cantante, a parte qualche eccezione, ovviamente. Per il resto c’è sempre stato poco spazio, anche dovuto a un background culturale che le stesse donne hanno subìto. Oggi la situazione è diversa. Ci sono molte musiciste che ormai fanno parte del mondo del jazz, così prettamente maschile. Penso che il momento più bello sarà quello in cui non necessiteremo più di eventi dedicati alle donne, che servano a rimarcare la nostra presenza, perché vorrà dire che avremo superato il fatto di essere “una minoranza”. Vorrei che si giungesse a un’uguaglianza tra musicisti, tra esseri umani che creano musica, senza queste differenze, ma mantenendo profondamente le diversità che contraddistinguono un uomo e una donna. 

Il tuo lavoro più recente è “Intimidade” (AlfaMusic, 2017) in duo con Guinga.
Sì, con lui ho inciso anche “Viceversa” (2014), sempre per Alfamusic che è la mia etichetta discografica da circa quindici anni, e con la quale ho registrato altri quattro dischi. Guinga è considerato una leggenda vivente in Brasile, per la sua musica, per il suo modo di suonare e anche di cantare. La particolarità di questo nuovo album è proprio che lui canta in tutto il disco, realizzando così uno dei suoi sogni artistici. Suoniamo un repertorio dedicato alla Seresta, ciò che corrisponde alla nostra serenata. Si tratta quindi di un lavoro intimista, svolto su brani lenti, con atmosfere molto particolari, i cui testi parlano di amori sofferti, struggenti. È insomma un disco di saudade, nell’accezione piena del termine. Ci sono brani più antichi, ma anche cose più recenti firmate da Jobim, da Vinicius de Moraes e dallo stesso Guinga. Per la prima volta nella mia produzione mi sono messa semplicemente al servizio della musica, solo come pianista, mettendo da parte la mia anima di compositrice. L’ho fatto con molto piacere.

L’amore per il Brasile e la sua musica come è nato in te?
Nasce nell’adolescenza, prima dell’amore per il jazz. Quella in genere è un’età molto difficile, anzi, diciamo pure che ero proprio depressa (ride, NdR), un po’ come capita a molti adolescenti. Quindi, come tutti i depressi, mi andavo a cercare la musica malinconica e l’ho trovata pienamente in molte cose della musica brasiliana. Ascoltavo Jobim, Vinicius de Moraes e altri nelle loro dimensioni più intimiste e “saudadose”… Nel tempo mi succedeva sempre più questo strano fatto di sentire nostalgia per un luogo dove non ero mai stata, il Brasile appunto, forse proprio grazie a quegli ascolti. Ho realizzato così il mio sogno di andarci, nel 2008, in un viaggio che ha segnato molto la mia vita, artistica e non solo. Negli anni mi ero anche appassionata al jazz, amore iniziato grazie all’ascolto di un disco di Chet Baker, insieme allo studio della musica classica, che sempre mi ha accompagnata, fin da quando avevo otto anni. Ho sempre coltivato contemporaneamente queste tre passioni musicali, e ancora oggi è così. Tutto questo è confluito ovviamente nel mio modo di comporre. Poi negli ultimi anni la musica brasiliana ha preso il sopravvento anche grazie a incontri artistici decisivi in tal senso, come quello con il clarinettista Gabriele Mirabassi, che mi ha fatto conoscere Guinga e con il quale ho inciso due album, uno dei quali, “Maresìa” (AlfaMusic, 2007) già ispirato dalla musica brasiliana. Maresìa è una bellissima parola carioca, con la quale a Rio De Janeiro si descrive un fenomeno dolcissimo: un certo profumo di mare, che all’improvviso arriva e ti avvolge inaspettatamente. 

Ti avevamo già apprezzato in dischi in duo, come con Marilena Paradisi in “Come dirti” (Silta Records, 2012). 
Fu un’esperienza particolare e molto bella, con questa bravissima cantante, dedicata all’improvvisazione totale. Nei miei dischi questo aspetto improvvisativo non manca quasi mai. È una sensazione che mi piace moltissimo: questa libertà, questo lasciarsi andare totalmente al suono, lasciando semplicemente che esso ti guidi lungo un percorso sconosciuto e profondo. Inoltre, improvvisare liberamente mi riporta un po’ all’infanzia. Dai quattro anni e mezzo - quando ho iniziato a suonare a orecchio - giocavo suonando il pianoforte. Inventavo, mi immergevo in quel mondo magico dei suoni, passandoci le ore. È quindi una dimensione a me molto cara e intima, che mi fa stare bene. In genere, nelle mie composizioni non amo “soffocare” le parti improvvisate con molti accordi, preferisco sempre lasciare spazio e respiro, dopo l’esposizione del tema. Ma, oggi, con la maturità, scrivo anche molti brani in cui mancano le zone improvvisative. Oggi sento che questo non ha più importanza, perché ciò che è fondamentale è la musica, la forma che essa vuole prendere, con o senza improvvisazione. 

Quando avverti che è il momento di registrare un brano? 
In genere preferisco arrivare alla registrazione dei brani sentendoli del tutto miei, dopo averli suonati per un lungo periodo, perché mi piace sentirli scorrere dentro di me con naturalezza. Quando devo registrare un brano che ho suonato poco, ovviamente, avverto più tensione al momento di registrarlo e questo non mi piace. Amo registrare sempre cose nuove, quindi non mi pongo mai scadenze e obiettivi “commerciali”. Aspetto che le idee arrivino, che prendano forma e soprattutto che siano “vere”. Ma esse non sempre arrivano, perché la vita a volte ti sorprende anche con cose molto difficili da sopportare, che a volte possono bloccare quel flusso creativo di cui si ha bisogno per comporre. Almeno personalmente è così, perché sento che la musica è vita vissuta, sangue che ti scorre dentro, non è un lavoro. 

Nel tuo essere musicista sei influenzata da altre forme d’arte o pratiche? 
Mi fa piacere questa domanda, perché mi permette di parlare per la prima volta pubblicamente di un’altra grande passione della mia vita: il Tai Chi. Pratico quest’arte marziale da un paio di anni. Inizio ora il terzo con molta gioia e con la voglia di approfondire sempre più la cosa, al punto che frequenterò il Corso Allenatori della Chen Taiji Academy, organizzato dal CSI Tai Chi di Bologna (Centro Studi Italiano di Tai Chi).  Adoro quest’arte, che mi sta insegnando tanto degli aspetti psicosomatici e di rapporto con il proprio essere, fisico e psichico. C’è una delle cose fondamentali nella pratica del Tai Chi che ritrovo anche nella musica: concentrarsi totalmente nel momento esatto che stai vivendo. Non prima, non dopo, ma nel momento presente. Questo in musica è fondamentale, affinché essa “accada”. A volte, quando hai una certa esperienza, le mani vanno da sole, ma la mente si distrae, si allontana dall’aspetto artistico di quello che fai, e tutto si svuota. Basta un momento, un attimo, e perdi il flusso musicale più interno, più profondo. Il Tai Chi tra le altre cose ti insegna a focalizzare il momento, ad aumentare la tua capacità di concentrazione e presenza, e questo porta notevoli vantaggi anche al tuo pensiero artistico, oltre che a diversi aspetti della vita. 

Stai lavorando a nuovi progetti?
Sì. Innanzi tutto con il mio nuovo trio, con Matteo Bortone al contrabbasso e Bernardo Guerra alla batteria. Vorrei registrare un disco con loro, appunto con brani nuovi che sto scrivendo. Poi sto lavorando a un nuovo progetto con un’altra pianista e compositrice: Cettina Donato. Le ho proposto infatti un duo di “pianoforte a quattro mani”, con un repertorio basato interamente su nostre composizioni. Il pianoforte a quattro mani è una formula che di solito si usa nel mondo classico, mentre nel jazz è praticamente inedita. Insomma, penso che nella vita, per non perdere ciò che siamo, sia importante non fermarsi mai e cercare sempre nuovi stimoli, nuove possibilità di crescita e di approfondimento artistico e umano.

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