martedì 28 giugno 2016

Kind Of Bill: intervista a Dado Moroni

Il trio composto da Dado Moroni al pianoforte, Eddie Gomez al contrabbasso e Joe LaBarbera alla batteria apre giovedì 30 giugno la rassegna estiva Summertime, alla Casa del Jazz di Roma, con il progetto “Kind of Bill”, dedicato alla figura di Bill Evans. Ne abbiamo parlato con Dado Moroni in un day off del loro tour.

Cosa ti lega alla figura di Bill Evans? Sono sempre stato accostato a un certo tipo di pianismo vicino a Herbie Hancock, Oscar Peterson, Bud Powell e altri legati alla tradizione afroamericana. In realtà Bill Evans è stato un musicista fondamentale per il mio sviluppo e la mia maturazione come pianista. Suonare il suo repertorio è una cosa rischiosa, un po’ come avvicinarsi al mondo di Monk. Lui non è un seguace di uno stile, lui ha creato uno stile. È difficile renderlo senza correre il rischio di copiarlo, e forse per questo motivo l’ho sempre lasciato da parte. Oggi però, almeno spero, credo di essere in grado di proporre un qualcosa di interessante. Mi piaceva misurarmi con un qualcosa che forse anni fa non comprendevo appieno o per la quale non mi sentivo pronto. È un passo importante che fa parte della mia crescita.

Qual è l’idea alla base di questo progetto in trio con Eddie Gomez e Joe LaBarbera? Alla base di tutto non c’è un tributo a Bill Evans, ma un progetto musicale che si ispira a Bill Evans. C’è la voglia di celebrare un’eredità, che lui ha lasciato in tutti noi. È una sorta di ringraziamento, per le emozioni che ci ha dato. La sua arte è ancora viva e la sua freschezza nel suonare è ancora attualissima.

La scaletta di “Kind of Bill” cosa prevede? Oltre ai brani di Evans suoniamo anche standard, sempre ispirati alle sue versioni, che dunque assumono mood particolari, e alcuni originali, come Kind of Bill che poi dà il titolo al progetto.

Pensi che questo progetto diventerà anche un album? L’idea è quella di fare le cose in maniera spontanea. Nel frattempo stiamo registrando alcune serate, poi vedremo.

Sia Eddie Gomez sia Joe LaBarbera hanno suonato in trio con Bill Evans, in periodi diversi. Che effetto ti fa condividere il palco con loro? Mettere loro due insieme è stato fantastico. È bello ascoltarli suonare, sul palco li ammiro, sono uno spettacolo. Questo è un progetto anche dedicato a loro. Eddie e Joe hanno una grande personalità e hanno contribuito al sound del trio di Bill Evans, il quale non sceglieva i musicisti a caso, ma andava a prendere quelli con determinate caratteristiche, perché aveva bisogno di musicisti che capissero la sua estetica, il suo linguaggio. Basti pensare all’intesa con Scott LaFaro, e al loro legame umano. Eddie ha lasciato un’impronta, è un innovatore, è un discepolo del messaggio di Scott LaFaro. Ha sviluppato l’intesa con lo strumento quanto Scott LaFaro. Nel trio di Bill Evans è stato fondamentale e ha dato a Evans un qualcosa in più. Joe suona la batteria in maniera melodica, sa essere sia delicato sia autorevole. Conosce la musica in maniera profonda, a seconda dell’accordo che si suona decide il piatto da suonare o usa le spazzole.

In questi giorni ti hanno raccontato qualche aneddoto legato alle loro esperienze con Evans? Sono rapporti molto intimi e ne parlano solo quando si sentono di parlarne. Sono legami particolari. L’empatia è difficile da descrivere. Tra le cose che sono trapelate mi dicono di una persona buona e sensibile, che amava i cartoni animati e il baseball, che aveva attenzione per i bambini, si ricordava dei compleanni dei suoi amici, e questi suoi aspetti li riversava in musica. Era molto affidabile, malgrado i suoi noti problemi legati alla tossicodipendenza. Inoltre, andava a sentire gli altri pianisti, come Monk e Oscar Peterson con il quale avrebbe dovuto fare un disco per doppio pianoforte. Era curioso. Non era introverso, aveva molti interessi. È stato un genio, un musicista che ha voltato pagina, e questo è universalmente riconosciuto.

A fine tour, quel è un complimento che ti piacerebbe ricevere? In realtà il complimento me lo hanno fatto ieri sera Eddie e Joe dopo il concerto dicendomi: «Hai capito lo spirito, hai suonato con il cuore». Quando due musicisti che hanno diviso il palco con un gigante come Bill Evans ti dicono di avere imparato la lezione vuol dire molto, è una cosa che mi dà fiducia e mi piace moltissimo.

lunedì 27 giugno 2016

Valerio Pontrandolfo & Harold Mabern Trio: “Are You Sirius?” [In Jazz We Trust Records, 2016]

Registrato nel mese di settembre del 2014, “Are You Sirius?” è un album che il sassofonista Valerio Pontrandolfo firma insieme al trio del pianista Harold Mabern, completato da John Webber al contrabbasso e Joe Farnsworth alla batteria. La scaletta si sviluppa attraverso alcuni originali firmati da Pontrandolfo e rivisitazioni, come nel caso di Make Believe, di Jerome Kern, e mette in mostra l’interplay del quartetto, evidente soprattutto nei brani suonati a ritmo sostenuto, come l’iniziale Twenty. Non mancano i momenti più rilassati, quasi intimi, come quelli descritti nella ballad Touched, in un insieme riferibile alle forme dell’hard bop. La copertina è ideata da Bruno Briscik.

Gabriele Mitelli – Pasquale Mirra: “Water Stress” [Caligola Records, 2016]

Protagonisti di “Water Stress” sono il trombettista Gabriele Mitelli, anche alle percussioni e flicorno, e il vibrafonista Pasquale Mirra. I due danno forma a nove tracce, tra originali e rivisitazioni, che non incontrano immediati riferimenti stilistici, in quanto prive di consuetudini. Tracce che sono spinte verso territori timbrici e melodici inediti e sperimentali, per un insieme che si sviluppa in divenire e senza preconcetti: c’è dell’avanguardia, nei tratti estetici che i due propongono, c’è il legame con l’Africa, ci sono momenti visionari e astratti. In copertina la riproduzione di “Taut” di Valentina Crasto.

Andrea Pozza – Andrew Cleyndert – Mark Taylor: “Siciliana” [Trio Records, 2016]

Dopo un lungo rodaggio effettuato nelle performance dal vivo durante questi ultimi anni, il trio composto da Andrea Pozza al pianoforte, Andrew Cleyndert al contrabbasso e Mark Taylor alla batteria incide per la Trio Records “Siciliana”, un album che vede in scaletta un paio di tracce firmate da Pozza e una serie di rivisitazioni di brani composti da pianisti, da Johann Sebastian Bach a Thelonious Sphere Monk. Al centro degli sviluppi espressivi ci sono le melodie, come quella cantabile dell’iniziale Bolivia di Cedar Walton, oppure quella sviluppata su ritmo sostenuto nella monkiana Wee See, per un insieme dove non manca l’alternanza di atmosfere con situazioni più intime e pensose, vedi My One And Only Love di Guy Wood.

Lorenzo Tucci: “Sparkle” [Jando Music / Via Veneto Jazz, 2016]

Il batterista Lorenzo Tucci, in trio con Luca Mannutza al pianoforte e Luca Fattorini al contrabbasso, dà forma alle dieci tracce di “Sparkle”, l’album nel quale troviamo sia brani originali sia rivisitazioni, come Seven Days di Sting e E po’ che fà di Pino Daniele. Al trio si aggiunge Flavio Boltro alla tromba in cinque brani e la voce di Karima, per un orizzonte timbrico ampio e diversificato. La cifra stilistica è rintracciabile in un moderno mainstream, dalle melodie cantabili e perlopiù espresse da Mannutza, dai temi a volte intimi o dal carattere più marcato, e dall’interplay tra gli interpreti che emerge in ogni brano in scaletta.

mercoledì 22 giugno 2016

Alberto La Neve: “Nemesi” [Manitù Records, 2016]

Il sassofonista Alberto La Neve presenta in “Nemesi” sette brani in solo, nei quali utilizza sia al soprano sia al tenore con l’aggiunta di effetti e loop elettronici. Ne deriva un lavoro dai tratti sperimentali, dove sonorità arcaiche e moderne si intrecciano per dare forma a una trama stilistica rischiosa e personale. La Neve produce melodie circolari, cantabili, tra improvvisazione e scrittura, e non perde mai di vista un processo in divenire a volte astratto e carico di visionarietà. I suoni sovra incisi si accatastano fino a creare forme timbriche sfaccettate, o lasciano spazio a momenti che flirtano con il silenzio, intimi e pensosi.

lunedì 20 giugno 2016

Dario Chiazzolino: “Red Cloud” [Tukool Records, 2016]

Fatta eccezione per Solar, di Miles Davis, la scaletta di “Red Cloud” si compone di soli brani originali firmati da Dario Chiazzolino, chitarrista torinese di stanza a New York City, che per questo nuovo lavoro organizza un quartetto di spessore assoluto, completato da Antonio Faraò al pianoforte, Manu Roche alla batteria e Dominique Di Piazza al basso. Interpreti che sanno costruire ideali intelaiature ritmiche per gli slanci espressivi del leader, capace di lunghi soli melodici, cantabili e mai eccessivi, ma anche di restituire all’ascolto d’insieme una giusta alternanza di idee, spunti e dialoghi. L’album emana una cifra espressiva di moderno mainstream, e si distingue per la coesione timbrica, per l’impasto sonoro e per il costante senso di groove che ogni brano riesce a trasmettere.