venerdì 28 novembre 2014

WBGO Radio: Amy Niles nuovo direttore e CEO

Prende il posto di Cefa Bowles

La stazione radio americana WBGO 88.3 FM ha annunciato la promozione di Amy Niles come nuovo direttore e amministratore delegato. Si tratta del quarto in trentacinque anni di storia dell’emittente specializzata in musica jazz. Amy Niles ha stretto collaborazioni importanti per la radio, come con il Jazz at Lincoln Center, il Brooklyn Museum of Art e il Gateway Center di Newark. In merito al suo nuovo incarico ha dichiarato: «Sono incredibilmente entusiasta, e per il futuro continueremo a intraprendere e realizzare grandi cose».

giovedì 27 novembre 2014

Kenny Garrett: nuovo incarico alla William Paterson University

È il direttore del programma Jazz Studies

Il sassofonista e compositore Kenny Garrett è il nuovo direttore del programma Jazz Studies alla William Paterson University di Wayne, nel New Jersey. Garrett diventa il quinto musicista nella storia a dirigere questo speciale corso, fondato nel 1973 e tra i più prestigiosi degli Stati Uniti, dopo Thad Jones, Rufus Reid, James Williams e Mulgrew Miller. Il programma, oltre agli attestati di jazz, offre la possibilità di specializzazione in audio recording, educazione musicale e music management.

mercoledì 26 novembre 2014

Jøkleba: Outland (ECM, 2014)

Per Jørgensen (tr, voc, kalimba, fl); Jon Balke (electronics, pf); Audun Kleive (electronics, batt, perc)

“Outland” è il debutto su etichetta ECM del trio norvegese Jøkleba, attivo da diversi anni e apprezzato per i precedenti episodi discografici sia dal pubblico sia dalla critica internazionale. In scaletta troviamo quattordici tracce, alcune delle quali sono dei brevi frammenti della durata di due minuti o poco meno, nelle quali il trio mette insieme una musica basata sull’interazione di piccoli segmenti di suono, tra innesti elettronici, melodie accennate di pianoforte, tromba e voicing. Ne viene fuori un contesto formalmente prossimo alla totale libertà espressiva, ma coerente a un processo di costruzione sonora in continuo divenire, che dà luogo a risultati spiazzanti. Il trio agisce facendo leva su pause e dilatazioni temporali, che riflettono l’intenzione concettuale di “Outland”, lavoro che si ispira alla perdita di coscenza della mente umana, come descritto nei testi di Sylvia Plath, Laura Restrepo, Guy de Maupassant, Sadegh Hedayat e Ken Kesey, ai quali si riferiscono i titoli dei brani.

Vridd 1 / Bell Jar / Blind Owl / Beyond The Glass / The Nightwood / Rodion / Horla / Vridd 2 / Tremens / Brighton / One Flew Over / Curious Incident / Below The Vulcano / Vridd 3

martedì 25 novembre 2014

ECM Records: nuove rimasterizzazioni

Quindici titoli per iTunes

La ECM Records ha annunciato che, con effetto immediato, saranno disponibili quindici titoli rimasterizzati per la piattaforma digitale iTunes. Il lavoro sulla prima lista di album, dove troviamo incisioni come “Sleeper” di Keith Jarrett, “Tabula Rasa” firmato Arvo Pärt e “Mutations” di Vijay Iver, è stato supervisionato da Manfred Eicher, il quale ha dichiarato: «È stato particolarmente interessante lavorare sulle sorgenti analogiche degli album più vecchi e riuscire a ottenere un ottimo risultato anche a 24 bit».

more: ECM

lunedì 24 novembre 2014

Steinway & Sons: “Live From The Factory Floor Series”

Jason Moran apre la nuova serie di uscite discografiche

La prestigiosa ditta di pianoforti Steinway & Sons ha lanciato una nuova serie di registrazioni discografiche denominata “Live From The Floor Factory”. Si tratta di performance dal vivo che avranno luogo, con frequenza trimestrale, nella fabbrica della società a New York City. Il primo nome in catalogo è quello di Jason Moran, e l’obiettivo è quello di registrare i pianisti che si esibiscono nel mondo utilizzando i pianoforti della società. Michael Sweeney, presidente di Steinway, ha definito l’incontro con Moran come: «Un avvenimento magico, che nessuno di noi dimenticherà».

more: http://www.steinway.com/

venerdì 21 novembre 2014

Frank Morgan: Sound Of Redemption Documentary

La vita del sassofonista in una pellicola diretta da N.C. Heikin

Sound Of Redemption è il nuovo documentario, diretto da N.C. Heikin, sulla vita del sassofonista Frank Morgan, venuto a mancare nel 2007. La pellicola è stata presentata durante il Los Angeles Film Festival, ed ha riscontrato pareri favorevoli da parte di pubblico e critica. Quella di Morgan non è stata una vita facile, e “Little Frank”, come era soprannominato da Charlie Parker, ha avuto spesso a che fare con storie di droga che ne hanno ostacolato la carriera. Heikin indaga, in ottantaquattro minuti, gli aspetti di un talento mai del tutto sbocciato.

Frank Morgan

giovedì 20 novembre 2014

Sean Jones nominato direttore del Brass Department di Berklee

Prende il posto del trombonista Tom Plsek

Il Brass Department del Berklee College of Music di Boston ha un nuovo direttore: si tratta del trombettista Sean Jones, che prende il posto del trombonista Tom Plsek in carica negli ultimi venticinque anni. Il presidente di Berklee Roger H. Brown ha dichiarato in merito: «Siamo molto felici di accogliere Sean alla nostra famiglia, certi che il suo contributo sarà decisivo per la formazione dei futuri musicisti». Appena dopo la nomina Jones si è detto: «Onorato di aver ricevuto una così grande opportunità. Mi sembra di vivere un momento surreale».

more: Berklee College of Music

mercoledì 19 novembre 2014

Made in New York Jazz Competition insieme a Kawai America

Rinnovato l’accordo di sponsorizzazione

Per il secondo anno consecutivo si rinnova la collaborazione tra gli organizzatori del contest Made in New York Jazz Competition e la Kawai America Corporation, la ditta giapponese specializzata nella costruzione di pianoforti e tastiere. Ad annunciarlo è stato Mikhael Brovkin, responsabile del contest on-line, che si è detto: «Entusiasta di avere un brand così importante come sponsorizzazione della nostra giovane realtà». Al vincitore di questa nuova edizione andrà, oltre a un premio in denaro, anche un piano Kawai MP11.

more: http://madeinnyjazz.com/

martedì 18 novembre 2014

Vito Liturri Trio: in uscita "After The Storm" (Dodicilune/Ird)

Giovedì 27 novembre esce in Italia e all’estero, nel circuito IRD e nei principali store digitali, "After The Storm", il nuovo progetto discografico del Vito Liturri Trio, prodotto dall’etichetta pugliese Dodicilune. Il pianista e compositore barese è affiancato dal contrabbassista Marco Boccia e dal batterista Lello Patruno.

more: dodicilune

lunedì 17 novembre 2014

João Lencastre's Communion: esce oggi "What is this all about?"

Esce oggi tramite Auand Records, con ditribuzione Goodfellas, il nuovo lavoro targato João Lencastre's Communion dal titolo "What is this all about?". Questa la scaletta: 01 View Over the Palace / 02 The House of Fun / 03 Kubrick / 04 The Game / 05 Opus 39, N. 9 / 06 Whai is This all About? / 07 Lucky River / 08 Picture / 09 Alma.

Alle regitrazioni, oltre a João Lencastre (batteria), hanno preso parte: David Binney (alto); Phil Grenadier (tromba); Jacob Sacks (pianoforte); André Matos (chitarra); Thomas Morgan (contrabbasso). Ospiti: João Lencastre (batteria e synth #4); Sara Serpa (voce in #2,#3); Tiago Bettencourt (voce in #1,#2,#3); Ary (modular synth efx in #1,#2); Benny Lackner (Wurlitzer in #4).

more: Auand Records

venerdì 14 novembre 2014

"Miles Ahead": il film su Miles Davis di Don Cheadle

Miles Ahead, il film diretto da Don Cheadle sulla vita di Miles Davis, è finalmente pronto. Il percorso per la realizzazione della pellicola, e della necessaria raccolta dei fondi, non è stato tra i più semplici. Viste le difficoltà, lo scorso mese di giugno, Don Cheadle ha avuto l’intuizione di mettere in piedi una campagna di crowdfunding attraverso il sito Indiegogo, che in poco tempo ha ottenuto il risultato sperato di oltre trecentomila dollari. Una cifra considerevole, che ha permesso al regista, al debutto dietro la cinepresa dopo aver costruito la sua fama come attore e produttore cinematografico, di portare a compimento questa idea, che a suo avviso: «Non poteva seguire un percorso di produzione tradizionale. Un film come questo è rivolto a un pubblico di nicchia, perché, anche se Miles Davis è molto conosciuto, il jazz rimane al di fuori del circuito mainstream». Don Cheadle sta pensando al film da circa dieci anni, anche se la sua passione per Miles Davis è iniziata da quando era bambino, come ha recentemente dichiarato: «La sua musica è stata sicuramente una parte della mia vita, grazie soprattutto ai miei genitori. Inoltre, sono stato fortunato, quando andavo a scuola, ad avere insegnanti di musica che ci hanno introdotto al jazz. In quinta elementare ho iniziato a suonare il sax ed ero un fan di Charlie Parker e Cannonball Adderly. È attraverso Cannonball che ho poi trovato la via verso Miles». Ma Miles Ahead non è il solito film biografico, che ripercorre la vita dell’artista in una sequenza temporale. Don Cheadle, in fase di presentazione, ha spiegato che si tratta: «Di una sorta di gangster movie, nel quale lo stesso Miles avrebbe voluto recitare. Del resto Miles è sempre stato protagonista della propria storia. Non volevo realizzare il classico film biografico, ma riflettere nella pellicola il suo stesso approccio musicale, sempre rivolto alla stretta attualità e alle ipotesi future. Se oggi fosse vivo, probabilmente, starebbe collaborando con artisti come Jay Z e Skrillex». L’idea principale è stata quella di raccontare una storia non strettamente legata al jazz, ma di mettere in risalto anche il profilo umano di una persona. L’attenzione del regista si è focalizzata, oltre che sul controverso rapporto con la ballerina francese Frances Taylor, su un particolare periodo, quello relativo all’isolamento artistico e al ritorno alle scene, sul finire degli anni Settanta, in un momento della sua vita particolarmente difficile e tormentato. In fase di realizzazione sono stati decisivi i supporti dei famigliari di Miles, delle case discografiche Sony e Columbia, di Herbie Hancock per la scelta delle musiche per la colonna sonora e di Robert Glasper, autore di alcuni brani originali, appositamente scritti per il film. Per la stesura Don Cheadle, che interpreterà Miles, è stato supportato da Steve Baigelman, mentre tra gli altri attori protagonisti troviamo i nomi di Ewan McGregor e Michael Stuhlbarg.

giovedì 13 novembre 2014

Marcin Wasilewski Trio w/ Joakim Milder: Spark Of Life (ECM, 2014)

Marcin Wasilewski (pf); Slawomir Kurkiewicz (cb); Michal Miskiewicz (batt); Joakim Milder (ten)

Nella nuova uscita per ECM “Spark Of Life”, il trio capitanato dal pianista Marcin Wasilewski si avvale della collaborazione del sassofonista svedese Joakim Milder. Ne deriva un album dal forte senso lirico, giocato essenzialemente sul fattore melodico dei brani, sempre cantabili e suonati in maniera lineare ed equilibrata. L’iniziale Austin, dedicata alla memoria del giovane musicista Austin Peralta (http://en.wikipedia.org/wiki/Austin_Peralta), è svolta in trio, e riflette la capacità di Wasilewski di suonare temi che prendono forma e consistenza con calma, nel pieno rispetto delle dinamiche e delle geometrie d’insieme. Milder è chiamato a espandere le capacità timbriche del gruppo, svolgendo sia un ruolo da solista melodioso ed estremamente fluido negli interventi, sia da elemento di dialogo per il leader. Oltre ai brani originali troviamo in scaletta anche una personale rilettura di Message In A Bottle di Sting.

Ausitn / Sudovian Dance / Spark Of Life / Do rycerzy, do szlachty, do mieszczan / Message In A Bottle / Sleep Safe And Warm / Three Reflections / Still / Actual Proof / Largo / Spark Of Life

mercoledì 12 novembre 2014

Francesco Negro Trio: Apettando il tempo (Silence Records, 2014)

Francesco Negro (pf); Igor Legari (cb); Ermanno Baron (batt)

Il trio guidato da Francesco Negro si era già distinto nel precedente lavoro in studio “Silentium” (Alfa Music, 2012), e con il nuovo “Apettando il tempo” conferma le buone impressioni riscontrate in quella occasione, mettendo in evidenza un’acquisita presa di coscienza delle proprie possibilità. Questo perché la scrittura del leader riflette un’ampia apertura di possibilità espressive, che spaziano, con estrema flessibilità formale, da temi chiari ed esposti in maniera diretta a situazioni pià introspettive e articolate, da movimenti eleganti, giocati su millimetrici equilibri timbrici, ad altri costruiti in maniera più isitintiva. Francesco Negro si ritaglia spesso un ruolo cardine negli ingranaggi dell’intero lavoro, composto da sette brani originali con l’aggiunta, in chiusura di scaletta, della monkiana Trinkle Tinkle. Inoltre, c’è da sottilineare anche la concettualità dell’album, basata sull’ideale unione degli elementi di tempo, spazio ed energia, che nel lavoro grafico, messo a punto da Luigi Partipilo in un particolare packaging con all’interno dei lucidi sovrapposti, si evidenzia nell’interazione dei colori giallo, rosso e blu, ognuno dei quali associato a un musicista del trio.

Aspettando il tempo / Il triangolo del cerchio / Sky Is High / Frammento III / Apettando il tempo – parte seconda / Il piccolo principe / Apettando il tempo – parte terza / Trinkle Tinkle

http://www.francesconegro.it/

martedì 11 novembre 2014

Alessandro Lanzoni: il nuovo album "Seldom" in uscita il 18 novembre

Alessandro Lanzoni pubblicherà il nuovo album "Seldom" su etichetta CAM Jazz (distr. Goodfellas) il prossimo 18 novembre. Il disco, registrato col suo trio composto da Matteo Bortone al contrabbasso ed Enrico Morello alla batteria, vede la partecipazione straordinaria del trombettista americano Ralph Alessi.

Si tratta di un nuovo convincente passo avanti per il ventiduenne pianista, che con il nuovo album dimostra una notevole maturazione sia tecnica sia espressiva. La vittoria al Top Jazz 2013 come miglior nuovo talento, avvenuta dopo la pubblicazione dell’album "Dark Flavour", è stata seguita da un’intensa attività live che ha permesso a Lanzoni di focalizzare appieno i nuovi brani prima dell’incisione. Con Ralph Alessi si è subito instaurata una perfetta sintonia musicale nonostante non avessero mai suonato assieme in precedenza.

lunedì 10 novembre 2014

Louis Sclavis Quartet: Silk And Salt Melodies (ECM Records, 2014)

Louis Sclavis (cl); Gilles Coronado (ch); Benjamin Moussay (pf, tast); Keyvan Chemirani (perc)

Louis Sclavis, Gilles Coronado e Benjamin Moussay, già attivi come Atlas Trio, si sono dati appuntamento nel marzo 2014, insieme al percussionista iraniano Keyvan Chemirani, presso gli studi La Buissonne, a Pernes-les-Fointaines, per dare forma a “Silk And Salt Melodies”, l’album edito dalla ECM di Manfred Eicher. Ne è scaturita una musica espansa, capace di oltrepassare, con grande flessibilità formale, i confini stilistici del jazz propriamente inteso, per andare a indagare, attraverso lunghi percorsi d’eplorazione melodica, espressioni lontane, che portano anche verso figure dalle sfumature orientali. Lo stesso Sclavis, riguardo alle intenzioni dell’album, ha dichiarato che: «C’è dentro il mio desiderio di riflettere un immaginario nomade, e che rimandi alla tematica dell’immigrazione nella storia del mondo». La scaletta si compone di soli brani originali scritti dal leader, che sfrutta appieno le qualità timbriche di questa formazione, attraverso temi articolati e costruiti con lentezza, nei quali l’utilizzo delle pause gioca, a volte, un ruolo decisivo. La foto di copertina è di Louis Sclavis.

Le parfum de l’éxil / L’homme sud / L’autre rive / Sel et soie / Dance For Horses / Des feux lointains / Cortège / Dust And Dogs / Prato plage

venerdì 7 novembre 2014

Le personalità eccezionali: intervista a Filippo Bianchi

Nel corso della sua carriera giornalistica Filippo Bianchi ha trovato il tempo per dirigere Musica Jazz per una decina di anni, scrivere libri come il riuscito 101 Microlezioni di Jazz (22 Publishing, 2011) e deliziare gli appassionati con un giornalismo schietto, profondo e mai accomodante.

Qual è oggi, al tempo dell’informazione totale, il ruolo del critico musicale?

Ci sono casi, in natura, di processi evolutivi esagerati, per cui certi animali sviluppano arti enormi o code enormi o denti enormi o corna enormi, che finiscono per diventare ingombranti e paralizzanti. Un curioso fenomeno, che si chiama ipertelia, cioè eccesso di funzione. Uscendo dalla metafora naturalistica, è chiaro che viviamo una sorta di ipertelia della comunicazione: ci sono tante di quelle informazioni che finiscono per nascondersi una sotto l’altra; prese singolarmente sono trasparenti, ma la sovrapposizione dei loro strati crea un effetto di opacità. In un mercato sempre più ridondante di offerte, il ruolo del critico, dello specialista – che per mestiere deve gestire molte più informazioni di un ascoltatore qualunque – cresce di importanza, nell’individuare e indicare quelle opere che gli paiono originali, o particolarmente riuscite, o realmente innovative, o destinate a durare. Poi i suoi lettori valuteranno se, secondo la loro sensibilità, quel critico è un advisor affidabile o meno. Per il resto, il ruolo del critico è quello di sempre: riuscire a trasmettere le emozioni che un’opera gli ha suscitato; compito non facile, meno che mai dovendo tradurre la musica in parole, cioè mettendo in relazione due linguaggi fra loro intraducibili. Infatti spesso, piuttosto che assolvere missioni così ardue, ci si arrabatta a pontificare, o aggettivare con ridondanza, o indagare strutture.

La critica musicale italiana in ambito jazzistico, nel corso del tempo, in cosa ha peccato?

Mi perdonerai se mi autocito, ma quando ero direttore di Musica Jazz mi è capitato di scrivere quanto segue: «Se volessimo usare una metafora giudiziaria, potremmo dire che nella tradizione italiana il jazz ha avuto moltissimi giudici, parecchi avvocati difensori e pubblici ministeri, ma una certa penuria di testimoni. La critica jazz ha generato illustri musicologi e valenti polemisti, ma ricordo pochissimi critici di impostazione giornalistica, quelli che non hanno la pretesa di raccontare la storia con la esse maiuscola, bensì le storie quotidiane, vissute, magari banali ma umane, che poi diventano fonti, cioè nutrimento degli storici. E siccome la funzione giornalistica è – oltre che informativa – anche divulgativa e narrativa, forse anche a questa impostazione si può far risalire l’interesse tiepido che – paragonato a quello di altri Paesi europei – il pubblico italiano ha storicamente mostrato nei confronti di questa musica». Fra quelli che sono riusciti a raccontare in modo appassionante, e a connettere, l’arte e la vita dei suoi protagonisti mi vengono in mente A. B. Spellman, Philippe Carles, Brian Priestley, Mike Hennessey. In quell’ambito, di italiani mi viene in mente solo Alberto Rodriguez, che però purtroppo ha scritto di jazz solo sporadicamente.

Esiste il jazz italiano, inteso come stile riconoscibile?

Mi sembrerebbe un’affermazione spericolata. Non credo molto alle scuole su base geografica, anzi penso che quelle che conosciamo siano la conseguenza della comparsa di personalità eccezionali, diventate cime di piramidi: sotto di loro sono cresciuti gli emulatori, a varie altezze; senza di loro, non è che l’aria di New Orleans o di Chicago abbia qualcosa di speciale rispetto, poniamo, a Detroit o Boston. Le personalità eccezionali sono le scintille da cui nasce “un ambiente” favorevole, quello che poi si stratifica in una scuola o uno stile. Ricordo che alcuni protagonisti del West Coast Jazz non erano affatto californiani, probabilmente erano capitati lì proprio perché sapevano che avrebbero trovato colleghi interessanti. Negli anni Sessanta, a Londra, Ronnie Scott cambiò sede al suo celeberrimo locale, ma siccome aveva pagato l’affitto della vecchia sede per tutto l’anno, ne concesse l’uso a quella generazione di musicisti ¬– comprendente Kenny Wheeler, Tony Oxley, Dave Holland, Evan Parker, John Stevens, John McLaughlin, Paul Rutherford – che lì suonava sperimentando liberamente tutte le sere, senza altra preoccupazione che la musica. Una volta ho chiesto a Dave Holland se quella generazione avrebbe maturato una tale originalità e statura espressiva non avendo a disposizione in permanenza uno spazio libero. Mi rispose: «Probabilmente no». È chiaro che l’ambiente culturale e sociale esercita una qualche influenza, e che il multiculturalismo e multilinguismo di New Orleans creavano una situazione feconda per il jazz. Ma, pur collettivo nell’esecuzione, il jazz si regge sulla forza delle personalità individuali.

In molto lo individuano nella forza melodica.

Certo, esiste una tradizione melodica italiana che puoi rintracciare nello stile di Enrico Rava o Paolo Fresu, come ne esiste una nordica che riconosci in Jan Garbarek o Nils-Petter Molvær. E forse non è un caso che tre grandi di uno strumento vocato alla melodia come il clarinetto fossero di origini italiane: Tony Scott, Buddy DeFranco e Jimmy Giuffre. Uno stile italiano molto riconoscibile c’era semmai al tempo di Gorni Kramer e del Quartetto Cetra, oggi non saprei definirlo: ci sono in giro molti bravi jazzisti, e la loro somma fa il jazz italiano, in un’amplissima varietà di stili e orientamenti. Nonostante l’indifferenza delle istituzioni, al limite dell’ostilità, l’ambiente è piuttosto fecondo e aperto: due musicisti tanto diversi quanto Antonello Salis e Fabrizio Bosso suonano insieme, e si divertono molto a farlo, ma ognuno dei due ha un suo stile. La natura del jazz è nello scambio cosmopolita dei saperi e delle influenze.

Per quale motivo molte enciclopedie del jazz hanno ignorato per molti anni i musicisti italiani?

Non mi risulta che ci siano motivi intenzionali. L’informazione una volta non era così facile da reperire, e la maggior parte delle enciclopedie serie sono precedenti all’era della comunicazione globale. Sono poco citati anche i jazzisti sudafricani, quelli olandesi, polacchi, scandinavi, e di rado viene citato il fatto che Oscar Peterson, Gil Evans e Paul Bley sono canadesi. Il motivo probabilmente è nel fatto che la critica più autorevole si è sviluppata storicamente negli Stati Uniti, grande paese in cui però generalmente si è poco propensi a guardare fuori dai confini: perfino oggi, perfino nel jazz. I francesi ad esempio soffrono meno di sottoesposizione enciclopedica perché lì c’è una tradizione forte di pubblicistica jazz.

Sei stato per diversi anni direttore della rivista Musica Jazz. Come è cambiato il profilo dell’appassionato di jazz negli ultimi dieci anni?

Il problema forse è proprio che non è cambiato: è invecchiato, soprattutto quello che legge pubblicazioni specializzate. Probabilmente c’è anche un pubblico più giovane, ma pochi sono in grado di intercettarlo o definirlo perché comunica attraverso mezzi diversi dalla stampa, in un raggio compreso fra il tam-tam e Facebook.

giovedì 6 novembre 2014

Mark Turner Quartet: “Lathe Of Heaven” (ECM, 2014)

Mark Turner (ten); Avishai Cohen (tr); Joe Martin (cb); Marcus Gilmore (batt)

Sei brani firmati da Mark Turner, frutto delle sedute di registrazione agli Avatar Studios di New York City del giugno 2013, compongono la scaletta del suo “Lathe Of heaven”. Ad affiancarlo, in questa nuova uscita discografica targata ECM, ci sono il trombettista Avishai Cohen e la sezione ritmica formata da Joe Martin al contrabbasso e Marcus Gilmore alla batteria. I temi, lunghi e articolati, si sviluppano prevalentemente su tempi medio-lenti e la cantabilità delle melodie è l’elemento di primo piano dell’intera registrazione. Gli interpreti non si allontanano mai troppo dalle radici tematiche, cosicché ne deriva un ascolto lineare, privo di stravolgimenti, dove è la pregiata tessitura timbrica e il millimetrico gioco d’incastri ritmici a rendere scorrevole l’ora di musica proposta. Cohen e Turner denunciano un grande affiatamento e sono i loro dialoghi e i loro unisoni a ricoprire le parti di primo piano.

Lathe Of Heaven / Year Of The Rabbit / Ethan’s Line / The Edenist / Sonnet For Stevie / Brother Sister 2

mercoledì 5 novembre 2014

È stato il lavoro di una vita: intervista ad Adriano Mazzoletti

Adriano Mazzoletti (classe 1935) ha dedicato una vita al jazz, come giornalista, produttore, conduttore radiofonico e scrittore. Negli ultimi anni ha pubblicato per Edizioni EDT i due monumentali volumi Il Jazz in Italia: il primo nel 2004, “Dalle origini alle grandi orchestre”; il secondo nel 2008, “Dallo Swing agli anni Sessanta”. È in programma il terzo volume, per completare uno sforzo editoriale difficilmente superabile, che ha messo un ordine decisivo alla storia del jazz italiano.

Le più importanti storie del jazz nel Mondo ignorano, o sottovalutano, il jazz italiano. Perché?

È una ragione molto lunga da spiegare. In passato il jazz italiano, dal dopoguerra agli anni Settanta, non è mai stato aiutato dai promoter, dai critici e dalle persone che eventualmente dovevano sottolineare l’evolversi del jazz. Se per esempio prendiamo la rivista francese Jazz Hot e la confrontiamo con Musica Jazz, che al tempo era l’unica rivista che esisteva in Italia, possiamo notare che ogni due o tre uscite della rivista francese c’erano dei musicisti della loro nazionalità, mentre da noi era rarissimo trovare in copertina un musicista italiano. Questo avveniva perché quelli che facevano Musica Jazz erano dei fondamentalisti; per loro il jazz era americano e non si scostavano da questa idea. In parte avevano anche ragione, però al di là del jazz americano ci sono stati grandi musicisti, che avevano il loro grande valore. Anche per questo motivo il jazz italiano non ha mai goduto di considerazione all’estero, non ha mai catturato l’attenzione delle riviste e della critica in genere fuori dai confini nazionali. Sono di fatto rarissimi i casi di musicisti italiani che hanno passato le Alpi fino agli anni Settanta.

Nel corso del tempo alcune cose sono cambiate.

Sì, e un po’ lo si deve a un qualcosa che in un certo senso mi riguarda. A metà degli anni Sessanta c’è stata da parte dell’Unione Europea Radiodiffusione una sorta di organizzazione molto importante: tutte le radio pubbliche d’Europa si sono messe d’accordo e hanno varato un’iniziativa per la musica jazz, con uno scambio continuo di registrazioni e di musicisti. Questo ha fatto sì che i musicisti italiani hanno incominciato a essere apprezzati all’estero. Uno su tutti è stato Gianluigi Trovesi. Quando l’ho mandato a un concerto in Austria, tutti i colleghi presenti rimasero a bocca aperta, perché non si aspettavano che in Italia ci fosse un musicista così interessante. In seguito fu invitato spesso all’estero, e la stessa cosa accadde a Enrico Rava e Giovanni Tommaso. Dopodiché le cose si sono evolute e con il tempo il jazz italiano – e non lo dico io, ma molti colleghi stranieri – nella sua globalità è il jazz più importante nel Mondo.

Quanto è stato difficile mettere insieme, e in maniera ordinata, la storia del jazz italiano vista la scarsità di materiale a disposizione?

È stato il lavoro di una vita. Quando ero molto giovane mi trovavo a Perugia, ero uno studente appassionato di jazz, al tempo c’erano musicisti come Bill Coleman e Chet Baker che ogni tanto venivano a suonare in Italia. In quel periodo ho conosciuto un musicista molto anziano che suonava sax e clarinetto, che mi raccontava che in Italia si suonava del jazz negli anni Venti. La cosa mi incuriosì molto, perché a quei tempi si sapeva poco o nulla sulla nascita del jazz italiano. Da lì è partita la mia ricerca. Il jazz in quegli anni era una musica che non si suonava in forma di concerto, ma in sala da ballo. Di seguito sono nati i primi jazz club, come quello di Torino, dove si svolgeva un’attività di tipo jazzistico. Le mie ricerche sono durate tantissimo, ho intervistato centinaia di musicisti, perché dovevo mettere insieme una grande quantità d’informazioni. All’inizio furono pubblicate su libro-disco dalla Ricordi, poi in un piccolo libro per l’editore Laterza e poi finalmente ho trovato la EDT che ha creduto molto in questo progetto pubblicando due volumi di circa duemila pagine. Ho fatto un lavoro certosino, anche perché ho dovuto verificare tutte le informazioni che i musicisti mi davano, quindi ci sono state tantissime ricerche incrociate.

C’è in cantiere il terzo volume?

Sì, lo sto realizzando. Tratterà del jazz in Italia dagli anni Sessanta ai giorni nostri, con particolare attenzione all’attività dell’UER, perché esistono delle registrazioni negli archivi delle radio che non sono mai state pubblicate, ma che sono d’importanza straordinaria. Ormai di jazz in radio se ne fa veramente poco, mentre prima c’era una presenza massiccia di questa musica.

Il jazz italiano deve qualcosa a chi descrive e analizza quasta musica?

Sì, sia in negativo che in positivo. Di recente ci sono stati dei critici che hanno detto cose importanti, soprattutto per far conoscere meglio i nostri musicisti. Un collega della radio danese mi diceva che il jazz italiano ha un insieme di musicisti di altissimo livello. Fino a venti anni fa era impensabile che un musicista italiano incidesse dischi in America, mentre oggi questo avviene grazie anche alla diffusione e alla visibilità data dalla critica. Tra l’altro in America oggi c’è un problema: in giro per le grandi città non c’è più un certo tipo di jazz, non c’è più il senso del jazz, una musica che più di tanto non rende dal punto di vista economico, quindi i giovani si spostano su altri stili.

Com’è cambiata la critica musicale in Italia nel corso degli anni?

Negli anni Trenta c’erano tre persone, musicisti e musicologi, che erano Livio Cerri, Roberto Nicolosi ed Ezio Levi. Avevano una capacità importante di capire e di rendersi conto di quello che stava succedendo e avevavo intuito delle cose molto interessanti. Nicolosi era un musicista professionista, Cerri era un musicista, ma faceva l’odontoiatra, mentre Ezio Levi – per via del suo nome – dovette lasciare l’Italia per le questioni delle leggi razziali. Poi c’erano gli altri, che non erano musicisti e avevavno un’idea del jazz abbastanza particolare, molti facevano dei parallelismi con la storia, la letteratura, la filosofia. Una vera critica di jazz seria, non c’era. Poi negli anni sono venute alla luce personalità importanti, come Marcello Piras. Lui è un musicologo straordinario, di grande talento, una persona molto intelligente per la capacità che ha di mettere insieme le notizie. Ce ne sono anche altri come Maurizio Franco o Stefano Zenni, un allievo di Piras. Queste persone hanno cambiato la critica jazz. Poi c’è anche la categoria del giornalista, colui che scrive di jazz, ma si occupa anche di musica in generale e che di solito scrive sui quotidiani.

Quali sono le differenze sostanziali?

Tra il critico musicista e il critico non musicista e non musicologo c’è un’enorme differenza. Il primo scende in profondità e nel tempo questi personaggi hanno detto delle cose molto importanti per il jazz italiano di questi ultimi anni. Gli altri fanno la cronaca. La critica italiana oggi è interessante per l’aspetto musicologico, mentre dovrebbe tentare di mettere maggiormente a fuoco quello che oggi è il jazz. Il pianista Dado Moroni, che vive negli Stati Uniti, mi ha detto che oggi non si capisce bene cosa sia il jazz. Dunque, perché la critica non comincia a fare un’estetica del jazz attuale? Questo sarebbe importantissimo. Il jazz in passato aveva determinate regole che riguardavano la modalità di esecuzione, e oggi la critica dovrebbe essere più attenta e dire, nero su bianco, “oggi il jazz è questo”. C’è una grande confusione, bisognerebbe creare i presupposti per chiarire le idee, ma questo non solo in Italia.

Nel futuro, in che direzione si sposterà il jazz?

Bisognerebbe avere la sfera di cristallo. Come idea di fondo, come concetto filosofico, il jazz è sempre stata una musica di fusione, con una sua estetica. Non è ancora venuto fuori oggi un qualcosa di importante. Siamo ancora nel campo della ricerca? Non lo so. È una bella domanda, sulla quale sarebbe opportuno fare un dibattito internazionale.

EDT "Jazz in Italia"

lunedì 3 novembre 2014

Renato Sellani: “Glad There Is You” (Ponderosa Music & Art, 2014)

Renato Sellani (pf)

Pochi giorni fa Renato Sellani ha lasciato questo mondo. Di lui ci resta la sua musica e il ricordo di una esemplare figura umana. Il doppio album “Glad There Is You”, registrato in piano solo nelle sedute di aprile e maggio 2014, diventa dunque un involontario testamento, di un artista capace di creare dal nulla un percorso che lo ha portato ai vertici del jazz italiano, grazie a un modo di fare che non ha mai tradito la sua umiltà e attraverso le tante esperienze esaltanti raccolte nel tempo, come gli incontri con Chet Baker e Billie Holiday. Oltre ad alcuni brani autografi, in questo lavoro Sellani rivisita molti classici, della musica italiana nel primo CD e di alcuni autori stranieri nel secondo, con la consueta classe e con il suo modo di esprimersi attraverso l’abbellimento delle melodie, sempre tenute in primo piano anche quando emergono vestite con altri abiti, arrangiati sempre con gusto e mai fuori luogo. A tal proposito, il pianista ci aveva recentemente dichiarato che: «Chi vuole suonare jazz deve rispettare le belle melodie, perché rappresentano la radice di tutto». Su questo assioma Sellani produce musica più che mai viva, vogliosa di innescare curiosi accostamenti, sempre con grande garbo ed estremo equilibrio espressivo.

CD1: Autoritratto / Doce doce / Anna Bri / E la chiamano estate / Ti ricordo ancora / Io che amo solo te / Torna a Surriento – Caruso / Un lenzuolo per sognare / Roma nun fa la stupida / Volare / Dolfo / Il nostro concerto / Dov’è Walter / A-A / Ma l’amore no / Patetico

CD2: I’m Glad There’s You / Everything Happens To Me / Moon River / Laura / My Foolish Heart / Nature Boy / Angel Eyes/ Ruby, My Dear / Lament / My Funny Valentine / Ne me quitte pas / Que reste-t-il de nos amour / The Man I Love / Pavane