venerdì 26 ottobre 2012

Alessandro Grazian: Armi (Ghost records, 2012)

“Armi” segna un cambiamento netto nel percorso artistico di Alessandro Grazian, finora caratterizzato da una cifra stilistica delicata, curata nel dettaglio timbrico e per dirla con un solo aggettivo “equilibrata”. Non che il nostro abbia perso il buon gusto per l’attenzione alle sfumature, ma brani come la title track non ne aveva ancora partoriti, così pieni di energia, creatività e voglia di rompere uno schema prestabilito. Sembra voler dire, a chi gli è intorno, di essere capace anche di fare cose diverse dal consueto, o probabilmente la sua è un’urgenza espressiva che oggi prende forma in maniera evidente. L’album porta in dono delle ottime canzoni, come “Se tocca a te”, momenti dove emerge l’innato rispetto per le strutture formali di Grazian, vedi “Soltanto io”, e attimi dove si intravede in filigrana la sua forza poetica, come in “Helene”. Brevi frammenti di potenza creativa, come in “Non devi essere poetico mai”, si alternano con gesti più delicati e dal minore impatto al primo ascolto, come “Il mattino”. A conti fatti si tratta dell’ennesima prova riuscita di Grazian, che continua a gravitare intorno a un emisfero sotterraneo con poca visibilità mediatica, ma lo fa con tanta stoffa da vendere anche a sarti cantautorali molto più nominati di lui.

Max Petrolio: Humor pomata (Seahorse/Audioglobe, 2012)

Con “Humor pomata” Max Petrolio conferma le buone impressioni destate con i precedenti lavori, e ribadisce la sua attitudine cantautoarle che unisce ironia, significati importanti e freschezza espressiva. In scaletta troviamo sette brani – per poco più di mezzora - che si ritagliano un angolo stilistico prossimo alla new wave, perché capaci di far confluire in unico discorso sia le sonorità acustiche che alcune parti sintetiche, per quello che potremmo definire come electro-pop d’autore. Alternativo, dunque, a quelle maniere che riconducono sempre e comunque a schemi precostituiti e dozzinali. Il nostro mette a reagire diverse strategie compositive, sceglie le parole con buon gusto, innesca ritornelli mai banali e non fa mancare ai suoi brani una decisa dose di cantabilità, che non guasta, come in “Humor 3”. Ibridazioni che fanno nascere situazioni surreali e atmosfere sinistre, che poi si tramutano in visioni isteriche di un’attualità descritta con buona originalità. Nel complesso “Humor pomata” risulta come un album intelligente e con un pensiero critico e viscerale, a tratti scomodo e allucinato, e che difficilmente aprirà le porte alla larga fruizione.

sabato 13 ottobre 2012

Sergio Sorrentino: Tempus Fugit (Silta Records, 2012)

L’album di Sergio Sorrentino “Tempus Fugit” porta in copertina la dicitura “Past and Future in the Contemporary Guitar Music”. Segno che il chitarrista intende intraprendere in questi dieci brani un viaggio chitarristico in grado di esplorare e unire in un unico discorso il passato e l’attualità dello stile chitarristico, con uno sguardo rivolto al futuro. Idea ambiziosa, e dunque interessante. Ne viene fuori una musica ostica, tra improvvisazioni, brani originali e riletture senza tempo, che amano percorrere territori scoscesi, fatti di suoni ora staccati e distanti, ora di intrecci dall’intenzione labirintica. Sorrentino utilizza un linguaggio molto personale, che difficilmente trova paragoni nel panorama avanguardistico. Si serve di chitarra barocca, chitarra battente, elettrica e nastri per dar vita a un complesso gioco di riflessi, dove l’imprevisto è dietro l’angolo, e nel quale non c’è traccia di soluzioni accomodanti e senza un significato ben preciso. All’interno del booklet ci sono delle note esplicative dello stesso Sorrentino, decisive per accopagnare un ascolto altrimenti senza un chiaro punto di partenza.

Deison: Quiet Rooms (Aagoo Records, 2012)

Deison mantiene nei contenuti di “Quiet Rooms” le aspettative racchiuse nel significato del titolo. Si tratta infatti di quattro movimenti (denominati “Room I-IV”) che riflettono le sensazioni e gli scenari immaginari di stanze silenziose, con le loro ansie, i loro rumori ambientali e un drone di sottofondo che accompagna l’intera registrazione. Circa quarantasei minuti di muisca ambient, intesa come proiezione in sound del nulla. Il niente che anziché essere fatto di spazi vuoti viene riempito con una sorta di densità sonora che oscilla tra momenti più o meno intensi. Una musica che sembra non avere mai inizio, ma che a conti fatti si rivela infinita, da mettere in loop fino a formare un’onda continua che inesorabilmente invade l’area circostante. Proposta che al semplice ascolto non risulta di grande appeal, e che porge il fianco alla facile distrazione, ma che potrebbe rivelarsi decisiva in caso di installzione artistica, a commento di immagini che ne amplifichino gli eventuali significati. Chiamala se voui avanguardia.

venerdì 12 ottobre 2012

Electric Electric: Discipline (Africantape, 2012)

Gli Electric Electric sono un trio francese attivo dal 2005, che negli ultimi anni ha iniziato a mettere fuori il naso dai confini nazionali, raggiungendo palchi di una certa importanza come quello del Pop Montreal o della rassegna SXSW di Austin. Il loro è uno modo di scolpire la materia musicale che non bada molto al dispendio di bpm e che non conosce mezzi termini espressivi. Chiarezza d’intenti che si traduce in un sound tambureggiante, infarcito di innesti elettronici che compensano gli spazi lasciati vuoti da batteria e chitarra elettrica. Degli undici brani in programma del loro “Discipline” rimane difficile sceglire un momento meglio messo a fuoco di altri, perché si tratta di un’idea espressiva continua, che non conosce né soste né deragliamenti stilistici. Difficile anche rimanere fermi ad ascoltare gli Electric Electric, dal momento che più di qualche passaggio risulta congeniale per gli amanti del dancefloor, ma anche per i tanti che sotto a un palco preferiscono perdere volentieri il senso dell’orientamento, vedi l’esemplificativa “Summer’s Eye”. Disponibile anche in doppio vinile.

Stumbleine: Spiderwebbed (Monotreme, 2012)

Dato diverse volte per defunto il Bristol sound riemerge dal sottosuolo spesso e volentieri vestito di sensibili variazioni, ma integro nelle intenzioni e nell’anima. È il caso di Stumbleine, producer che licenzia per Monotreme il godibilissimo “Spiderwebbed”. Dieci tracce curate nel dettaglio timbrico e ritmico, capaci di avvolgere l’ascoltatore in un abbraccio dai toni soffici e garbati. Questo anche grazie al supporto di ospiti funzionali alla causa, come i vocalist CoMa e Steffaloo che rendono di pregio tessiture armoniche pensate con estrema dedizione. Ritmi versati a un atteggiamento da club-culture carattrizzano l’iniziale “Cherry Blossom”, c’è la malinconia di una ballad inquieta come in “Fade into You” (cover del brano dei Mazzy Star), ci sono situazioni di piacevole smarrimento temporale, che spingono al lasciarsi andare sulle onde melodiche, ai piani sonori che si sovrappongono senza fretta alcuna. Quaranta minuti proiettati nell’attualità, con un piede nel passato e uno in procinto d’essere spinto verso evoluzioni future.

Intuitive Music Quartet: “Music from fur kommende seiten by Karlheinz Stockhausen” (Silta Records, 2012)

Non è impresa semplice addentrarsi nella musica eseguita dell’Intuitive Music Quartet, a meno che non si è pratici di maniere avanguardistiche e in particolar modo dell’opera firmata da Karlheinz Stockhausen. Questo perché il loro è un lavoro versato al ciclo di testi Für Kommende Zeiten, eseguito rispettando l’intenzione primaria del compositore tedesco. Ne viene fuori un album ostico, dove si alternano silenzi, note staccate, accostamenti timbrici azzardati, per un insieme che si muove in maniera incostante tra improvvisazioni estemporanee e situazioni di assoluta libertà formale, dove melodia, ritmo e punti di riferimento certi lasciano il posto a sorprese continue. La tromba di Mario Mariotti è forse l’unico elemento di riconduzione a una linea espressiva commestibile, mentre il lavoro di liquefazione sonora è ben messo in atto dal pianismo di Mell Morcone, dai suoni sintetici di Walter Prati e dal basso solitario di Giorgio Dini. Musica intuitiva.

mercoledì 10 ottobre 2012

Go!Zilla: Go!Zilla EP (Santavalvola, 2012)

Sei brani adrenalici stipati in quarto d’ora compongono l’ep omonimo dei Go!Zilla, duo fiorentino all’esordio composto da Luca Landi (chitarra e voce) e Andrea Delvento (batteria e voce), che hanno chiamato in causa Jason Ward per la masterizzazione effettuata in quel di Chicago. Il loro è un sound esportabile, basato su un approccio alla materia musicale molto concreto, fatto di slanci chitarristici, voci distorte e ritmi serrati, ben chiaro già nell’opener “I’m Bleeding”, brano che ricorda vagamente il riff della depechemodiana “Personal Jesus”. La storia cambia di poco nei restanti passaggi, spostando il nucleo espressivo di questa interessante realtà verso territori garage-punk, dove è alto il grado di coinvolgimento della musica prodotta. Uno scatto buono per la breve distanza, e che fa dunque ben sperare per un’eventuale prova sull’intero giro di pista.

TaranProject con Marcello Cirillo: “Rolica” + Live dvd (CNI, 2012)

Con “Hjuri di hjumari” i Taranproject di Mimmo Cavallaro e Cosimo Papandrea avevano tracciato la nuova strada per la tarantella calabrese, con un approccio istintivo e un modo di scolpire la materia musicale fresco e attuale. A poco tempo di distanza arriva “Rolica”, album che prosegue idealmente quel discorso, stavolta maggiormente rivolto a un pubblico più ampio, in nove brani dal suono meno aspro e più fruibile. A contribuire a questa sorta di livellamento espressivo contribuisce la presenza di Marcello Cirillo, calabrese di nascita e romano d’adozione, che ha scelto di contribuire in maniera spontanea alla causa portata avanti da questa interessante realtà. La miscela timbrica, fatta di fiati, percussioni, organetto, lira calabrese e inserti elettrici, riesce a cogliere nel segno e coinvolgere, tra rivisitazioni di canti popolari e brani originali, in un andamento coeso e dal buon impatto emozionale.

Dalle tante apparizioni live che hanno visto protagonisti Mimmo Cavallaro e soci è scaturito il dvd TaranProject: “Kaulonia Tarantella Festival” (CNI, 2012), che testimonia la grande forza espressiva di questa band, capace di attrarre e trascinare una folla danzante in quel di Caulonia (il 23 agosto 2011), comune situato nel cuore della Locride. L’elemento decisivo che emerge da questa ripresa dal vivo è proprio il ballo di alcuni dei protagonisti e della folla giunta sotto il loro palco, ingrediente basilare per l’esatta riuscita della formula stilistica proposta. Riprese semplici e senza effetti ritraggono la band – alla quale si unisce per alcuni brani Marcello Cirillo - per oltre un’ora nel suo splendore di colori e timbri, nel suo insieme colmo di positività fatto di tradizione e nuovi idiomi.

Buildings: Melt Cry Sleep (doubleplusgood, 2012)

C’è dell’energia in “Melt Cry Sleep”, il nuovo lavoro firmato Buildings, band di Minneapolis che in questi dieci brani continua a perseguire un discorso noise-rock a presa rapida e di sicuro coinvolgimento. Ritmi sostenuti, a tratti apocalittici, dinamiche sempre importanti, sonorità costantemente innestate di timbri ruvidi e ostili caratterizzano l’intera registrazione, cosicchè nella mezzora proposta non ci sono momenti per eventuali riflessioni, né per situazioni più tranquille. Brian Lake mantiene una condotta vocale dai lineamenti satanici, mentre la tensione ritmica è garantita dal drumming portentoso di Travis Kuhlman e dal nuovo bassista Sayer Payne. Emergono rigurgiti grunge, c’è l’irruenza del punk più genuino, e si avverte la sensazione che i ragazzi, oltre che a mostrare i muscoli, sappiano mettere in fila un discorso di coerenza stilistica, che sulla carta li potrebbe portare a una certa originalità, che per il momento si intravede tra le maglie fitte del loro album.

lunedì 8 ottobre 2012

Transmontane: Staring Back at You (Sick Room Records, 2012)

Ryan Duncan è la figura che si cela dietro al progetto Transmontane, giunto al secondo episodio dopo l’esordio de “Lo specchio circolare”. Il nuovo “Staring Back at You”, edito da Sick Room Records di cui il nostro è cofondatore, propone undici brani dal taglio cantautorale, innervati di sapori malinconici, scenari essenziali e colorati di tonalità grige e offuscate. In questo lavoro c’è una grande monotonia, che può rasentare i confini della noia, ma anche affascinare e colpire nel cuore di chi ascolta. Valutazione soggettiva, alla quale si contrappone la reale nitidezza di un modo espressivo lontano dalle soluzioni a portata di mano, che intraprende puntualmente la strada più in salita possibile. Sembra che Duncan ami mettere degli ostacoli tra lui e chi lo ascolta, perché oltre a un timbro ruvido e profondo si lascia accompagnare perennemente da una chitarra dal suono distorto, rugginoso. Disponibile in vinile e in formato digitale.

Keiki: Popcorn from the Grave (Cheap Satanism Records, 2012)

Dieci tracce stipate in poco più di mezzora compongono “Popcorn from the Grave”, terzo lavoro del duo Keiki, di base a Bruxelles. I ragazzi autodefiniscono il loro stile come satanic-pop, etichetta plausibile dal momento che l’album presenta sia soluzioni melodicamente morbide, sia atmosfere sinistre e introspettive. Proposta che potremmo collocare temporalmente nella seconda metà degli anni Ottanta, vicino a certe produzioni chiaroscurali della 4AD, e che risente in maniera positiva - soprattutto dal punto di vista ritmico - di una decisa iniezione di elettronica. L’album nel suo complesso si lascia ascoltare con interesse, anche se non ci sono momenti particolarmente coinvolgenti, né brani a presa rapida capaci di rimanere in mente al primo passaggio. I due ospiti presenti tra i credits (Pete Simonelli e Eugene Robinson) aggiungono un po’ di sale alla ricetta dei Keiki, che però in questo episodio strappano una sufficienza interlocutoria.

Tamales de Chipil: Un largo camino (UPR/Edel, 2012)

Sono italiani i Tamales de Chipil, ma si sono ispirati fin dalla loro nascita al Messico e alla sua musica, fatta di velata nostalgia, ritmi ballabili e sonorità calde e coinvolgenti. “Un largo camino” non fa eccezione in una discografia giunta al terzo capitolo e intervallata da partecipazioni a importanti festival in ambito latino-americano (Vivalatino 2012). In questo lavoro i ragazzi non dimenticano le loro origini con un’azzeccata cover di “Amara terra mia” di Domenico Modugno, spaziano andando a pescare nel repertorio di Jimi Hendrix, omaggiato con “Drifiting”, e accompagnano l’ascoltatore tra rifacimenti di musica popolare messicana e brani originali. Nel loro calderone stilistico vanno a confluire reggae, ska, bossa e un certo mood cantautorale tradotto dalla voce di Antonio Adamo Lauria, dal timbro deciso e dal piglio narrativo. Album interessante sia per chi già conosce questa variopinta realtà, ma che potrebbe rappresentare una via d’accesso anche per quelli che solitamente scartano a priori certe proposte.