martedì 27 marzo 2012

White Rabbits: Milk Famous

Per i White Rabbits si tratta del terzo lavoro sulla distanza che conta. Se i precedenti Fort Nughtly (2007) – per l’esotismo dal sapore new wave - e It’s Frightening (2009) – per la sua energia percussiva dal passo maggiormente rock - avevano ottenuto una buona dose di consensi da parte di critica e pubblico pagante, Milk Famous è destinato a dividere opinioni e stati d’animo. Questo perché neel’interezza del cammino finora intrapreso sembra essere il primo concreto tentativo di smarcarsi dai riferimenti del passato, leggi Specials su tutti.

Le undici tracce proposte presentano diversi motivi di interesse e altrettanti passaggi che lasciano a desiderare sotto il profilo della ricerca espressiva, proprio lì dove la band - che oggi si muove nalla scena indie-rock di Brooklyn, vale a dire in quel sottobosco di ibridazioni di varia natura, - aveva costruito la propria impalcatura di credibilità. Il riferimento va a brani come I’m Not Me, che rilasciano un pop privo del giusto appeal, pronto nel deragliare alla prima curva di un ritornello cantilenante che denuncia una certa mancanza di inventiva, o come nella successiva Hold It To the Fire dove si avverte l’eccessiva leggerezza nelle trame melodiche, tendenzialmente shoegaze, e nella struttura ritmica di un brano fin troppo vago nelle sue intenzioni.

L’antifona cambia in altri passaggi, meglio messi a fuoco, come Temporary, perché la band incanala le sue forze in maniera fruttuosa, investendo in suoni dal taglio più aggressivo, che delineano un andamento ai confini della ballabilità, che non guasta e cattura l’attenzione dell’ascoltatore di turno, grazie a un tiro che non lascia spazio alle facili distrazioni. Stesso discorso per Danny Come Inside, pezzo cortocircuitale e ossessivo dalle venature electro, capace di spiazzare e coinvolgere, come del resto Back For More, che rispetto agli altri brani del lotto lascia emergere echi vagamente calypso e un songwriting di buona levatura.

Senza rivelare nessuna invenzione tangibile, i White Rabbits – guidati in una fin troppo eccessiva fase di produzione da Mike McCarthy - mescolano e innestano nel loro modo una discreta serie di idee, anche se Milk Famous si appiattisce troppo spesso verso un orizzonte pop incolore e non riesce a tenere la giusta tensione per la sua intera durata.

sabato 17 marzo 2012

[Alessandra Gismondi]

le figurine di PopOn: #1

Nei giorni in cui l’Italia musicale si interrogava sulle acconciature di Anna Tatangelo al Festival di Sanremo, noi raggiungevamo telefonicamente Alessandra Gismondi, cantante e principale artefice del progetto Pitch – con il quale ha da poco dato alla luce l’intrigante Comme un flux – e protagonista del sottobosco indie anche con Vessel (trio completato da Emanuele Reverberi e Corrado Nuccini dei Giardini di Mirò) e Schonwald (insieme a Luca Bandini). Il suo è il punto di vista di chi la scena, anziché subirla, la fa.

Comme un flux è il titolo del nuovo album dei Pitch. Fa riferimento al modo in cui sono state composte le canzoni? Sì, il titolo è ispirato al flusso della musica, delle parole e anche della danza, in quanto ho studiato danza per tantissimi anni e quindi cercavo qualcosa che riassumesse un po’ tutto il mio percorso, il mio excursus artistico sia musicale che come ballerina.

Che gestazione ha avuto questo nuovo disco? Questo per noi è il quarto album, ed è l’unico che abbiamo creato esclusivamente in studio. Siamo partiti da un canovaccio di canzoni di note abbozzate. Avevamo circa un mese per registrare il disco, ed è stato creato passo dopo passo all’interno dello studio, in un modo diverso rispetto al passato. La fotografia, che è un'altra forma d'arte che mi appassiona, ha influito nella nascita della canzoni: l’anno scorso ho collaborato con Paolo Zauli alla stesura delle didascalie per il suo libro fotografico, questo probabilmente ha sviluppato in me la voglia di avvicinarmi alla fotografia attraverso la musica.

Anche rispetto ai precedenti dischi, questa volta con quali aspettative avete lavorato? Ad essere sincera ce ne sono sempre. Il primo lavoro (Bambina atomica, 1997 ndr) è importantissimo perché è come presentarsi con un biglietto da visita a delle persone che non sanno nemmeno chi sei; il secondo (Velluto, 1999 ndr) è importante perché c’è l’ansia da prestazione, perché vuoi essere all’altezza del lavoro precedente, se è andato bene; il terzo (A Violent Dinner, 2007 ndr) per i Pitch ha rappresentato una specie di rinascita, in quanto c’è stato un rinnovo della line-up, siamo stati fermi sette anni perché di fatto il gruppo si era sciolto, quando ho deciso di riprendere in mano il progetto ho riformato una nuova band, c’era voglia di riproporsi in maniera diversa rispetto al passato. Comme un flux, infine, è l’album che raggiunge una maturità superiore rispetto alle precedenti prove, in quanto all’interno del gruppo ci conosciamo meglio, e come approccio risulta più fresco e più immediato.

Quali obiettivi vi siete prefissi? Sinceramente non ci siamo mai dati un obiettivo, perché le cose le viviamo alla giornata, anche se questa frase può sembrare un po’ un cliché. Forse un obiettivo è quello di suonare, fare un album e cercare di promuoverlo in modo da farlo conoscere a più persone possibile, fare concerti e arrivare a molta gente. Per me è importante il contatto diretto con le persone.

Quando componi i brani hai in mente il tipo di ascoltatore che andrai a raggiungere? Scrivo molto d’istinto, di getto. Il titolo stesso dell’album te lo dice “come un flusso”. Dentro di me è come se avessi un flusso che spero vada a toccare più persone possibili. Non ho un ascoltatore standard. La magia della musica è quella di riuscire a catturare le persone.

La vostra musica è accostabile al pop anglosassone, seppur utilizzate anche la lingua francese. E' vero che il vostro è un omaggio a Serge Gainsbourg. Sì, sono molto legata alle sue canzoni, fin da bambina, avendo avuto la fortuna di avere un padre che ascoltava tantissima musica italiana, inglese e francese, sono rimasta affascinata da Gainsbourg. Negli ultimi anni, anche con l’altro mio progetto Vessel, mi sono avvicinata alla sua canzone. Questo mi ha dato modo di liberare la mia vena da chansonnier francese.

I vostri esordi vi vedono nella scuderia Vox Pop di Manuel Agnelli a metà anni Novanta, da allora quali cambiamenti della scena indie potete raccontarci? Di base io vivo in Italia, anche se sono stata molto all’estero in questi ultimi dieci anni. Diciamo che è cambiata tanto, c’è stata una rivoluzione della scena cantautorale, molto radicata da come posso notare, però dal punto di vista indie-rock vedo uno stallo; confrontando sempre l’Italia con il resto del mondo chiaramente. Rispetto a un decennio fa si producono molti più dischi, è cambiato il tipo di fruizione, ci si dimentica in fretta di ciò che si ascolta. Il fatto di vendere materialmente meno cd ha contribuito a un certo appiattimento.

Proprio Manuel Agnelli, nel 2009, andando al Festival di Sanremo ha provato ad avvicinare l’indie al mainstream italiano. A conti fatti un tentativo fallito, sei d’accordo? Sì, sono totalmente d’accordo, non trovo che ci sia un filo conduttore che possa portare la musica di culto in quel conteso. Già nel 2000 mi fu proposto dalla mia casa discografica di partecipare al Festival e rifiutai perché sarei andata a snaturare una parte di me che non poteva far parte di Sanremo. La musica indipendente non può arrivare a Sanremo, perché lì è tutta una strategia di marketing.

Marketing e immagine prima ancora della musica in sé. Quest'anno si sono accesi dibattiti sull’acconciatura di Anna Tatangelo. Sono rimasta di stucco, non mi aspettavo una Tatangelo contro corrente. Le persone vogliono vedere l’Anna Tatangelo di sempre.

Tornando ai tuoi progetti, oltre ai Pitch fai parte dei Vessel. Andrà in porto l’idea di realizzare un album intero dal momento che avete solo fatto degli ep? Siamo rimasti un attimo fermi perché avevo in cantiere l’album dei Pitch. Stiamo ancora valutando su come verrà sviluppato il nostro percorso, nel senso che sicuramente andremo avanti a registarre nuove canzoni. Sul come verranno utilizzate siamo ancora in alto mare. Era un nostro desiderio realizzare una trilogia di ep e stampare un album, sarebbe stato perfetto, ma questo non dipende da me, ma dall’etichetta.

Nei Pitch emerge il tuo lato più cordiale, mentre in Schonwald tiri fuori quello più introverso, scuro. Sì, quando siamo in due con Luca - che fa parte anche dei Pitch - salta fuori una vena melodica un po’ più dark. Forse perché Luca ha origini tedesche, quindi nordiche, fredde. Lui è il capobanda di Schonwald, quindi io mi lego a lui e vado dietro alla sua creatività, ed esce fuori un’Alessandra più tenebrosa. Mentre nei Pitch i lavori partono da mie idee che sono più aperte e solari.

Dunque tre progetti da portare avanti non sono pochi, non avrai mica altre sorprese in cantiere? Il realtà sì, dal momento che farò parte del solo project di Hanin Elias, cantante e fondatrice di Atari Teenage Riot di Berlino, band storica di metà anni Novanta punk-industrial. Lei ha lasciato la band che si è da poco riunita per un tour mondiale e ha inciso un disco solista. Io sarò la sua bassista per le date del tour dal vivo.