venerdì 14 dicembre 2012

FRANCO FERGUSON: presenta IMPRORING & AMAZING CONCERTS

La quinta stagione di concerti organizzata a Roma e Viterbo dal collettivo Franco Ferguson continuerà fino al prossimo giugno. Gli appuntamenti, con cadenza mensile, vedranno protagonisti alcuni gruppi italiani che si muovono nell’ambito dell’improvvisazione jazzistica, e avranno come intento quello di creare una rete di connessione attraverso l’incontro tra le varie realtà. Per realizzare questo obiettivo il collettivo romano ha messo in campo le proprie risorse, coinvolgendo alcuni locali particolarmente affini allo spirito del gruppo, come il Forte Fanfulla di via Fanfulla da Lodi, il 30 Formiche di via del Mandrione, entrambi in zona Pigneto, a Roma, e il QB Jazz Club di Viterbo. La rassegna è organizzata sulla base di due tipi di avvenimenti: gli Improring, che vedranno alternarsi sullo stesso palco musicisti di diversa estrazione e provenienza geografica, in formazioni inedite appositamente assemblate; gli Amazing Concerts, nei quali si esibiranno gruppi stabili che si sono formati all’interno dei collettivi (Baap!, Crossroads Quartet, Luz, Monkey Brain Trio, Acre, The Assassins, Mansarda, Mr. Rencore, P.B.B. Special Trio, Mediterranean Collective, Scraps). Novità di questa sessione di concerti è la presenza di gruppi provenienti da altre regioni: Mediterraneo Radicale (Bari, Puglia), Crossroads Improring (Napoli, Campania), El Gallo Rojo (Veneto, Emilia Romagna, Lombardia), Improvvisatore Involontario (Catania, Sicilia), Spazio Zero (Firenze-Livorno-Pisa, Toscana). A questi si aggiungono alcune formazioni che hanno gravitato nell'orbita fergusoniana nel corso degli ultimi cinque anni, o che si sono formate a seguito degli incontri tra musicisti avvenuti durante gli Improring.

More: www.soundcloud.com/franco-ferguson www.facebook.com/franco.ferguson

IL PROGRAMMA (concerti alle ore 22)

19 dicembre - IMPRORINGIN' with LUZ @ Forte Fanfulla 20 dicembre - LUZ + TOMEKA REID @ 30 Formiche 21 dicembre - MONKEY BRAIN TRIO @ QB Jazz Club 23 gennaio - IMPRORINGIN' with ACRE @ Forte Fanfulla 24 gennaio - ACRE @ 30 Formiche 25 gennaio - LUZ @ QB Jazz Club 20 febbraio - IMPRORINGIN' with IMPROVVISATORE INVOLONTARIO @ Forte Fanfulla 21 febbraio - THE ASSASSINS @ 30 Formiche 22 febbraio - MANSARDA @ QB Jazz Club 20 marzo - IMPRORINGIN' with SPAZIOZERO @ Forte Fanfulla 21 marzo - Mr. RENCORE @ 30 Formiche 22 marzo - Mr. RENCORE @ QB Jazz Club 17 aprile - IMPRORINGIN' with GALLO ROJO @ Forte Fanfulla 18 aprile - PBB SPECIAL TRIO @ 30 Formiche 19 aprile - PBB SPECIAL TRIO @ QB Jazz Club 15 maggio - IMPRORINGIN' with MEDITERRANEO RADICALE @ Forte Fanfulla 16 maggio - MEDITERRANEAN COLLECTIVE @ 30 Formiche 17 maggio - MEDITERRANEAN COLLECTIVE @ QB Jazz Club 19 giugno - IMPRORINGIN' with MONKEY BRAIN TRIO @ Forte Fanfulla 20 giugno - MONKEY BRAIN TRIO @ 30 Formiche 21 giugno - SCRAPS @ QB Jazz Club Forte Fanfulla Via Fanfulla da Lodi 5, Roma www.fanfulla.org 30 Formiche Via del Mandrione, Roma info@30formiche.it QB Jazz Club S.P. Cimina, Km 2,500 - Viterbo restaurant.qb@gmail.com

Massimo Zamboni: 30 anni di ortodossia, 29 agosto 2012 (cd+dvd, Upr – Iperspazio – Self)

“30 anni ortodossia” fa riferimento al concerto di Reggio Emilia del 29 agosto 2012, che ha visto protagonisti Massimo Zamboni, Angela Baraldi, Nada, Fatur, Cisco e Giorgio Canali. Un’iniziativa nata dal buon riscontro di pubblico che Zamboni ha ottenuto in alcune date dal vivo nell’estate 2012, nelle quali l’ex componente dei CCCP-CSI ha riproposto i brani d’inizio carriera, che oltre ad averne delineato la cifra stilistica hanno segnato a fuoco un periodo del quale si sente la mancanza, anche dal punto di vista culturale. In questa operazione c’è voglia di guaradarsi alle spalle per cercare di capire come procedere nel futuro, c’è voglia di sentire quelle canzoni cariche di andrenalina e forza espressiva, anche se non c’è la nostalgia fine a se stessa, ma la necessaria consapevolezza delle proprie capacità per liberarsi da questa sorta di apatia che attanaglia il presente. Concetti espressi con chiarezza nei contenuti audio-video: il cd è un album dal vivo apprezzabile sotto diversi aspetti, anche estetici grazie soprattutto alle voci di Nada e Angela Baraldi; nel dvd il concerto diventa film-documentario - per la regia di Paolo Bonfanti e Massimo Corsini - attraverso le parole dei protagonisti e dei filmati che si mescolano alle riprese del live, per sottolineare ulteriormente idee e sensazioni che riemergono dal passato e che per una sera tornano a scrivere la storia, di chi le ha vissute, ma anche di chi ne ha subito le positive conseguenze. E lo fanno in maniera decisa, come nell’iniziale “Emilia paranoica”, partenza obbligata di un percorso rabbioso, tradotto dalla voce della Baraldi, e spigoloso come le chitarre affilate di Zamboni e soci, sempre pronti a non spartirsi un bottino facile, sempre tesi a scattare senza inutili preamboli verso l’obiettivo espressivo. Punk d’autore, si direbbe. Sta di fatto che Giorgio Canali in “Valium Tavor” è un’autentica spina nel fianco, e poi passano in rassegna brani che continuano a mettere i brividi addosso: “Annarella”, “Io sto bene”, la conclusiva “Fuochi nella notte”. C’è Nada ad aggiungere presenza scenica e carattere interpretativo – è splendida in “Miccia”-, c’è Cisco a rendere una collettività che è il vero successo di questo repertorio, e c’è Fatur chiuso in una gabbia che con la sua performance proietta l’immagine di un’attualità strozzata da divieti e restrizioni di ogni genere. L’Emilia è una terra che non nasconde le sconfitte e la sua gente – come del resto la cultura di questo Paese - non conosce mai la resa, e “30 anni ortodossia” sarà solo la terapia di una sera, ma ne è ulteriore prova.

lunedì 10 dicembre 2012

The Somnambulist: Sophia Verloren (Acid Cobra Records, 2012)

Registrato tra l’appennino toscano e Berlino “Sophia Verloren” è il nuovo album dei Somnambulist, una band dalla line-up internazionale capace di mettere in piedi una scaletta con diversi argomenti interessanti, come del resto accadeva nel loro debutto “Moda Borderline” del 2010. Tra le frecce del loro arco comunicativo c’è la capacità di cambiare ambientazione sonora, che si sposta dalle trame sinistre di “Dried Fireflies Dust” ai movimenti paranoici dell’iniziale “My Own Paranormal Activity”, ai lineamenti più morbidi e commestibili di “Logsailor”. Il tutto mantiene una positiva tensione di fondo che si sviluppa tra la voce di Marco Bianciardi, cavernosa e ruvida quanto basta, il violino di Rafael Bord – essenziale nel comporre la cifra stilistica del gruppo - e un coinvolgente intreccio chitarra-sezione ritmica che non molla mai la presa. Si tratta di canzoni curate nel dettaglio, ma non ampollose, in grado di mantenere una certa immediatezza esecutiva senza perdere mai di mira il nocciolo della questione espressiva, che trova in “A Daisy Field” anche il tempo di aprirsi a timbri più solari e distesi, grazie anche alla voce ospite di Albertine Sarges. Intrigante.

Shijo X: …If a Night (Bombanella Records, 2012)

“…If a Night” è il secondo lavoro in studio degli abruzzesi Shijo X, realtà che si era fatta notare per la partecipazione all'Italia Love Wave Festival 2011 e per il buon debutto “One Minute Before” del 2009. La loro è una cifra stilistica individuabile in ambito trip-hop, una sorta di via di mezzo tra Portishead e Moloko, che trova nella voce di Laura Sinigaglia il motivo di principale riconoscimento. Un timbro gentile e accattivante il suo, che si adagia su un intreccio rock-electro mutevole, in grado di argomentare situazioni essenziali e momenti di maggiore coinvolgimento ritmico-melodico. L’album sviluppa un’idea concettuale che accompagna l’ascoltatore nelle ore notturne – dalle 2 alle 6 -, attraverso un mondo di sogni e visioni surreali fino al risveglio. È dunque il nero della notte il colore predominante nelle trame di questa band, anche se – a conti fatti – i ragazzi non riescono a sintetizzare uno stile proprio, originale, cosicché per l’intera durata di “…If a Night” sono continui i richiami a realtà già esistenti, a stereotipi che per quanto li si voglia mascherare portano sempre allo stesso punto di partenza: Bristol.

venerdì 7 dicembre 2012

Roquetin: Roquentin (Twelve Records, 2012)

Dietro la sigla Roquentin si cela la figura del cantautore Nico Di Florio, già conosciuto in ambito underground per i testi dei Sunflower, che in questo progetto solista si ispira al romanzo “La Nausea” di Jean Paul Satre, dando vita a un album incentrato sull’idea della voglia di perdersi e del procedere senza punti fermi. Le otto tracce in scaletta riflettono un buon songwriting, semplice, ma non semplicistico, dalle diverse chiavi di lettura e stilisticamente vario. Di Florio trova la sua forza espressiva attraverso i testi, che si adagiano su uno sfondo fatto di suoni mai invadenti - che includono chitarra e poche percussioni -, e accenni di intrecci melodici che restano spesso sospesi e che lasciano l’ascoltatore in un limbo di piacevole assuefazione. Tra le cose migliori va messo un asterisco a “La strage dei pretendenti”, per via della leggera tensione tra primo piano vocale e arrangiamento, nel quale intervengono gli archi a creare una maggiore suggestione e avvolgere il tutto in una sorta di atmosfera surreale. La conclusiva “Venite a prendermi” chiude una mezzora di ottima musica, che ha la sola pretesa di comunicare un pensiero originale, che trova momenti di equilibrio melodico raro e che si tiene a distanza dalle soluzioni a presa rapida.

Greenthief: Retribution (Autoproduzione, 2012)

I Greenthief stanno preparando il terreno per il loro album di debutto, auspicato per il 2013, nel migliore dei modi: in tour come supporto degli australiani The Butterfly Effect; il singolo “Vultures” che sta raccogliendo diversi consensi mediatici; l’Ep autoprodotto “Retribution” – a tre anni dal precedente “Annica” - registrato in collaborazione con Steve James. Si tratta di cinque brani che delineano l’attitudine rock-pop di questa band, la quale paga un forte dazio a diverse realtà già esistenti nel panorama internazionale, leggi Placebo nell’iniziale “Sanity” o Muse nella successiva “Salad Days”. Parallelismi evidenti, al confine della citazione, che però si miscelano bene a uno stile personale, non ancora del tutto messo a fuoco, che presenta di fondo un intreccio chitarristico che alterna momenti di calma ad atri di irruenza, e in primo piano la voce di Julian Schweitzer, che a sua volta sa essere sia lieve e carezzovole, ma all’occorrenza piacevolmente ruvida. È probabilmente su questa alternanza di umori che i tre ragazzi potrebbero basare la riuscita del loro full length, anche se per il momento i venticinque minuti proposti servono solo a rimandare qualsiasi considerazione plausibile.

The Mohawk Lodge: Damaged Goods (White Whale Records, 2012)

Dieci brani stipati in mezzora compongono la scaletta del nuovo lavoro in studio dei The Mohawk Lodge, realtà capitanata da Ryder Havdale che in “Damaged Goods” riversa una buona attitudine rock fatta di ritmi incalzanti, riff messi al posto giusto e soluzioni ritmico-melodiche coinvolgenti. Anche in questo episodio Havdale collabora con Eamon McGrath, che lo ha supportato in fase di registrazione, con cori e chitarra. In programma troviamo sia tracce che sanno far battere il piede a tempo, come l’iniziale “Howling at the Moon” – brano fortemente indiziato come principale attrazione nelle live performance -, che rock-ballad dal grande senso di aggregazione, come “Using your Love”. Alternanza di atmosfere che restituisce all’intero lavoro un alto grado di fruibilità, che potrebbe quindi abbracciare chi già conosce lo spessore di Havdale e anche chi si avvicina per la prima volta alla sua band. “Damaged Goods” colpisce nel segno per via dell’ottima capacità di sintesi della band e per e lo stile senza inuitli orpelli costruito attorno a una radice rock autentica, priva di abbellimenti senza senso compiuto. *Il lavoro è disponibile in digitale e anche in versione vinile da 180gr.

venerdì 30 novembre 2012

Ferc: The Trail of Monologue (Silta records, 2012)

Dietro alla sigla Ferc si cela il duo composto dalla vocalist Rossella Cangini e dal multi-strumentista Fabrizio Elvetico. Una struttura formale consueta, che con l’ascolto del loro The Trail of Monologue rivela un carattere tutt’altro che scontato, anzi. Quello dei Ferc è un raggio d’azione che spazia dall’improvvisazione di matrice jazzistica alle impalcature rigide del post-industrial, dalle linee continue di una melodia riconoscibile a suoni flebili e rarefatti.

Si tratta di cinque brani dall’ambientazione glaciale e apocalittica, nei quali la voce-strumento dell Cangini risulta spesso in primo piano, con il suo modo delirante, le sue parole slegate, atonali, onomatopeiche, fortemente intrise da uno sperimentalismo estremo. Sullo sfondo c’è l’ibridazione tra elettronica e suoni di varia natura, che si accatastano in una sorta di destino inevitabile e potenzialmente infinito. Elvetico porta avanti un discorso compositivo fatto di frammenti singoli, come la melodia di pianoforte della title track, andamenti isterici, come quelli di “Run Run Run”, e linee di condotta insidiose, come gli echi terrificanti che frustano “Slams”, passaggio estremo di un lavoro che non sa rimanere in un unico binario espressivo.

Tra l’altro Ferc è un progetto aperto, nel senso che accoglie l'integrazione con altre modalità artistiche come accade nelle loro performance con il video processing in tempo reale. Non classificabile è con tutta probabilità il modo di smarcarsi da un solo aggettivo possibile.

mercoledì 21 novembre 2012

Lebowski & Nico: Propaganda (Bloody Sound Fucktory, 2012)

I Lebowski, nel frattempo diventati Lebowski & Nico con l’entrata nella band di Nicola Amici, danno seguito al precedente “The Best Love Songs…” con un album dal carattere psichedelico e visionario, dove convivono fiati, elettronica, ritmi sostenuti e irriverenza espressa senza mezze misure. Registrato e mixato da Giulio Ragno Favero “Propaganda” conosce i suoi momenti migliori nell’opener “Mattia Pascal”, brano rapido e schizoide che trova una buona alternanza stilistica con il successivo “Kansas City”, e nella claudicante “Avevo un sogno nel cassonetto”, che deraglia piacevolmente in territori dub senza perdere di mira l’approccio diretto della band. Testi ironici e atmosfere surreali fanno da collante tra le nove tracce in programma, nelle quali si trovano sparse a piene mani influenze elettroniche di derivazione anni Ottanta e dove il sax risulta a più riprese l’arma in più di questa spiazzante realtà. L’album dà costantemente l’impressione di avere in serbo una sorpresa per chi ascolta: un ritornello a presa rapida, un innesco ritmico coinvolgente, una trovata timbrica inusuale, cosicchè potrebbe soddisfare le aspettative di chi già conosce i Lebowski, ma anche dei curiosi in cerca di originalità.

Adriano Modica: La sedia (Cardio a Dinamo, 2012)

Con “La sedia” Adriano Modica conclude la sua “Triologia dei materiali”, che comprende gli album “Annanna” e “Il fantasma ha paura”, entrambi stampati da Trovarobato e dedicati, rispettivamente, alla stoffa e alla pietra, oggetti a loro volta metafore di fasi di vita. Questo nuovo episodio è – nelle strategie compositive di Modica – l’album di legno, e rappresenta il riavvicinamento all’essere umano, alla natura di sé stesso. Concetti alti e interpretabili i suoi, che tradotti in musica danno vita a una scaletta composta in circa due anni lavoro e ricerca, fatta di canzoni semplici, ma mai semplicistiche, cesellate nel particolare timbrico e dalla buona cifra di introspezione. Modica sa essere a suo modo confidenziale, scrive testi malinconici che portano alla riflessione ed elabora un ampio orizzonte timbrico che dona al suo lavoro caratteristiche mutevoli, in un continuo divenire che incuriosisce in maniera decisa. Il cantautore si serve della sua modalità operativa analogica, intesa come l’utilizzo di mezzi di registrazione d’annata del suo Ambulatorio Polifunzionale Mobile, e continua a inseguire un ideale comunicativo originale che trova pochi termini di paragone e si lascia apprezzare per lunghi tratti.

domenica 18 novembre 2012

Philippe Petit: Extraordinary Tales of a Lemon Girl – Chapter III: Hitch-Hiking Thru Bronze Mirrors (Aagoo Records, 2012)

“Hitch-Hiking Thru Bronze Mirrors” è il terzo e conclusivo capitolo della trilogia “Extraordinary Tales of a Lemon Girl”, ideata dall’artista Philippe Petit (membro, tra le altre attività che svolge, degli Strings of Consciousness), che narra di un viaggio immaginario della “donna limone”, che in questo episodio intraprende il ritorno verso casa. L’album contiene dieci movimenti nei quali il francese mette a reagire il suo solito armamentario di strumetazioni varie, per dar vita a una musica da colonna sonora per un film inesistente, con i suoi momenti di tensione, le sue fasi oniriche e visionarie, in un susseguirsi di ambientazioni sonore di natura diversa. Il passaggio tra i brani risulta legato da un avanzamento concettuale coerente, fino a comporre una suite di quarantacinque minuti dove si alternano suoni, silenzi ed echi distanti, che emanano l’idea di posti lontani, paesaggi lunari, aridi e inospitali. Il lavoro va interpretato e messo il relazione con gli altri capitoli della trilogia, anche se potrebbe comunque spiazzare chi non ha dimestichezza con i concetti di avanguardia e musica concreta.

martedì 6 novembre 2012

The Red Paintings: nuovo album, singolo e tour dates

Nei prossimi mesi di novembre e dicembre i The Red Paintings saranno in tour in Europa per promuovere il nuovo album in studio CHINESE WHISPERS. Nel frattempo il lavoro è stato anticipato dal singolo "Streets Fell into My Windows", che ribadisce l'alchimia sonora della band di base in Australia: una sorta di art-rock orchestrale - molto ben congegnato e curato nei dettagli - che dal vivo si traduce in un'esperienza che unisce musica e immagini.

The Red Paintings CHINESE WHISPERS, UK & Euro Tour 2012

Nov 8 | Brighton - UK | Venue Tba Nov 10 | Thurso - SCO | Newmarket Bar Nov 11 | Dundee - SCO | Mono Uni Bar Nov 12 | Glasgow - SCO | Venue TBA Nov 13 | Hull - UK | The Adelphi Nov 14 | Stoke on Trent - UK | Minsters Bar Nov 15 | London - UK | Underworld Nov 16 | Basingstoke - UK | Sanctuary Live Nov 17 | Milton Keynes - UK | Underpass Nov 18 | Paris - FR | Venue Tba Nov 19 | Hesselt - BE | Carpe Diem Nov 20 | Offenbach - DE | Hafen 2 Nov 21 | Dortmund - DE | FZW Nov 22 | Darmstadt - DE | Lowbrow Nov 23 | Lippstadt - DE | Lilu Nov 24 | Metz - DE | Venue Tba Nov 25 | Munster - DE | Lorenz sud Nov 27 | Salzburg - AT | Rockhouse Nov 28 | Berlin - DE | Festsaal Nov 29 | Roma - IT | Venue Tba Nov 30 | Atripalda (Avellino) – IT | Chromazone

Dec 1 | Bratislava - SL | Batelier Dec 2 | Vienna - AT | Venue Tba Dec 3 | Budapest - HG | Akvárium Dec 4 | Prag - CZ | Exit-Us Dec 5 | Wroclaw - PL | Puzzle Dec 6 | Poznan - PL | Fabrika Dec 7 | Brno - CZ | Venue Tba Dec 8 | Szeged - HG | Varmuzeum Dec 9 | Belgrade - SR | Tomislav Dec 10 | Ostrava - CZ | Barrak Dec 11 | Stuttgart - DE | Zwolfzehn Dec 12 | Hamburg - DE | Markthalle Dec 13 | Bielefield - DE | Forum Dec 14 | Copenhagen - DK | KB18 Dec 15 | Gothenburg - SE | Venue Tba

domenica 4 novembre 2012

Borderline Symphony: Ragazze con pistole (Autoprodotto, 2012)

I Borderline Symphony sono un duo italo-svizzero composto da Luca Pollioni (voce, chitarre, tastiere) e Filippo Argento (basso, tastiere) che siluppa musica pop-rock servendosi di approccio stilistico lo-fi, inteso come utilizzo di un certo tipo di strumentazione vintage – vedi mellotron, synth d’annata – e di un metodo di registrazione che non prevede smussature d’abbellimento, compressioni e taglia/incolla digitali. Una modalità analogica che dà vita a undici tracce interessanti, sia per la qualità espressiva che per gli sviluppi formali, capaci di percorrere vie non sempre in discesa. Si respira aria densa di significati nel loro “Ragazze con pistole”, che a volte risulta calda e avvolgente, come nell’opener western “Per qualche euro in più”, e in altre occasioni sposa l’idea dell’easy listening, come in “La notte del dottor Dolce Vita”, o quella del rapporto delicato tra rock e wave, vedi “Settimana snob” o “Terrorismo!”. L’arte cinematografica entra prepotente nelle strategie compositive dei due ragazzi, sia nei titoli scelti per i brani in scaletta, ma anche per quel loro modo di sovrapporre strati sonori fino a creare scenari dal forte carattere descrittivo. In aggiunta alla ricetta dei Borderline Symphony troviamo batteria, violino e poco altro, per un insieme apprezzabile e lodevole sotto diversi aspetti.

LU-PO: Stendere la notte (Edizioni Musicali RAI, 2012)

Gianluca Porcu è il musicista che si cela dietro il moniker LU-PO e in questo nuovo episodio mette la sua musica al servizio, o per meglio dire in funzione, delle immagini del nuovo film diretto da Carlo Sarti. Si tratta di undici brani che uniscono intuizioni elettroniche con suoni prodotti da strumentazione acustica, come archi e clarinetto, trombone e mandolino. Un insieme singolare dunque, che spesso rilascia una sensazione di marcata malinconia, su andamenti medio-lenti e ambientazioni scure, che ben riflettono la proiezione del titolo scelto “Stendere la notte”. Musica da film che si regge in piedi anche sulle proprie gambe, ben piantate in un approccio compositivo di carattere classico, ma aperto a innesti di modernità espressiva, evidenti soprattutto nella scelta dei suoni operata dall’artista sardo, oggi di base a Torino. LU-PO non disdegna sconfinamenti in ambito dance-floor, come dimostra la traccia di chisura “La vampa”, e mette insieme un album dai lineamenti singolari e difficilmente definibili con un solo aggettivo.

Il Carico dei Suoni Sospesi: Non pratico vandalismo (Autoprodotto, 2012)

Difficile mettere ordine nella cifra stilistica de Il Carico dei Suoni Sospesi, perché nel loro “Non pratico vandalismo” vanno a inserirsi massicce dosi di elettronica, chitarre e fiati, fantasia espressiva ed esuberanza formale. Tracce che rapiscono l’attenzione di chi ascolta grazie a un approccio diretto e a un modo intelligente di plasmare la materia sonora, che non conosce facili prese di posizione, ritornelli ammiccanti e scorciatoie formali. Cinismo e ironia tradotti in musica con buonissima capacità di variare atmosfera pur mantenendo un nocciolo comunicativo importante e dalla tensione positiva. La band sviluppa, in sequenze logiche, drum & bass, citazioni cinematografiche che hanno segnato una generazione – vedi “Fight Club” o “Trainspotting” -, angoli dal sapore funk, wave sparsa a piene mani e ganci che maltrattano strati di subconscio, per via dell’alto grado di penetrabilità timbrica di Sara Matteini Chiari. La cantante, acida e dolce all’occorrenza, è il fulcro espressivo di una realtà che sa anche far ballare e coniuga rock in maniera camaleontica. In free download su www.ilcaricodeisuonisospesi.it

Varnadi: Contestatore romantico (Afre Music, 2012)

Sedici nuovi brani compongono “Contestatore romantico”, l’album con il quale Luciano Varnadi Ceriello ripropone la sua attitudine di cantautore dal taglio rockettaro, che sceglie di avvalersi di un contesto pieno di elementi sonori – mischiando chitarre, cori, archi e fiati – anziché ritagliarsi una nicchia in chiaroscuro, come amano fare molti suoi colleghi. Al centro delle tematiche proposte ci sono importanti spunti di riflessione, che trattano vivisezione, arte in genere, dipendenze e situazioni scomode dell’attuale quadro sociologico. Il tutto messo a reagire con sfondi dal piglio leggero, che non invadono quasi mai il primo piano vocale di Varnadi, dal timbro profondo e rilassato, con il quale il nostro imprime a ogni passaggio un marchio stilistico personale e ben riconoscibile. Le intenzioni espressive sono evidenti in brani come “Hot Videogame” o “I timidi”, dove convivono andamenti leggeri e temi dai significati profondi, e nei quali confluisco elementi di ska, groove di matrice settantiana e una serie di idee che vanno a formare una figura difficilmente perimetrabile. I vari ospiti presenti tra i credits, come il trombettista cubano Eugenio Samon, addizionano ulteriori spezie a una ricetta già di suo molto saporita.

venerdì 26 ottobre 2012

Alessandro Grazian: Armi (Ghost records, 2012)

“Armi” segna un cambiamento netto nel percorso artistico di Alessandro Grazian, finora caratterizzato da una cifra stilistica delicata, curata nel dettaglio timbrico e per dirla con un solo aggettivo “equilibrata”. Non che il nostro abbia perso il buon gusto per l’attenzione alle sfumature, ma brani come la title track non ne aveva ancora partoriti, così pieni di energia, creatività e voglia di rompere uno schema prestabilito. Sembra voler dire, a chi gli è intorno, di essere capace anche di fare cose diverse dal consueto, o probabilmente la sua è un’urgenza espressiva che oggi prende forma in maniera evidente. L’album porta in dono delle ottime canzoni, come “Se tocca a te”, momenti dove emerge l’innato rispetto per le strutture formali di Grazian, vedi “Soltanto io”, e attimi dove si intravede in filigrana la sua forza poetica, come in “Helene”. Brevi frammenti di potenza creativa, come in “Non devi essere poetico mai”, si alternano con gesti più delicati e dal minore impatto al primo ascolto, come “Il mattino”. A conti fatti si tratta dell’ennesima prova riuscita di Grazian, che continua a gravitare intorno a un emisfero sotterraneo con poca visibilità mediatica, ma lo fa con tanta stoffa da vendere anche a sarti cantautorali molto più nominati di lui.

Max Petrolio: Humor pomata (Seahorse/Audioglobe, 2012)

Con “Humor pomata” Max Petrolio conferma le buone impressioni destate con i precedenti lavori, e ribadisce la sua attitudine cantautoarle che unisce ironia, significati importanti e freschezza espressiva. In scaletta troviamo sette brani – per poco più di mezzora - che si ritagliano un angolo stilistico prossimo alla new wave, perché capaci di far confluire in unico discorso sia le sonorità acustiche che alcune parti sintetiche, per quello che potremmo definire come electro-pop d’autore. Alternativo, dunque, a quelle maniere che riconducono sempre e comunque a schemi precostituiti e dozzinali. Il nostro mette a reagire diverse strategie compositive, sceglie le parole con buon gusto, innesca ritornelli mai banali e non fa mancare ai suoi brani una decisa dose di cantabilità, che non guasta, come in “Humor 3”. Ibridazioni che fanno nascere situazioni surreali e atmosfere sinistre, che poi si tramutano in visioni isteriche di un’attualità descritta con buona originalità. Nel complesso “Humor pomata” risulta come un album intelligente e con un pensiero critico e viscerale, a tratti scomodo e allucinato, e che difficilmente aprirà le porte alla larga fruizione.

sabato 13 ottobre 2012

Sergio Sorrentino: Tempus Fugit (Silta Records, 2012)

L’album di Sergio Sorrentino “Tempus Fugit” porta in copertina la dicitura “Past and Future in the Contemporary Guitar Music”. Segno che il chitarrista intende intraprendere in questi dieci brani un viaggio chitarristico in grado di esplorare e unire in un unico discorso il passato e l’attualità dello stile chitarristico, con uno sguardo rivolto al futuro. Idea ambiziosa, e dunque interessante. Ne viene fuori una musica ostica, tra improvvisazioni, brani originali e riletture senza tempo, che amano percorrere territori scoscesi, fatti di suoni ora staccati e distanti, ora di intrecci dall’intenzione labirintica. Sorrentino utilizza un linguaggio molto personale, che difficilmente trova paragoni nel panorama avanguardistico. Si serve di chitarra barocca, chitarra battente, elettrica e nastri per dar vita a un complesso gioco di riflessi, dove l’imprevisto è dietro l’angolo, e nel quale non c’è traccia di soluzioni accomodanti e senza un significato ben preciso. All’interno del booklet ci sono delle note esplicative dello stesso Sorrentino, decisive per accopagnare un ascolto altrimenti senza un chiaro punto di partenza.

Deison: Quiet Rooms (Aagoo Records, 2012)

Deison mantiene nei contenuti di “Quiet Rooms” le aspettative racchiuse nel significato del titolo. Si tratta infatti di quattro movimenti (denominati “Room I-IV”) che riflettono le sensazioni e gli scenari immaginari di stanze silenziose, con le loro ansie, i loro rumori ambientali e un drone di sottofondo che accompagna l’intera registrazione. Circa quarantasei minuti di muisca ambient, intesa come proiezione in sound del nulla. Il niente che anziché essere fatto di spazi vuoti viene riempito con una sorta di densità sonora che oscilla tra momenti più o meno intensi. Una musica che sembra non avere mai inizio, ma che a conti fatti si rivela infinita, da mettere in loop fino a formare un’onda continua che inesorabilmente invade l’area circostante. Proposta che al semplice ascolto non risulta di grande appeal, e che porge il fianco alla facile distrazione, ma che potrebbe rivelarsi decisiva in caso di installzione artistica, a commento di immagini che ne amplifichino gli eventuali significati. Chiamala se voui avanguardia.

venerdì 12 ottobre 2012

Electric Electric: Discipline (Africantape, 2012)

Gli Electric Electric sono un trio francese attivo dal 2005, che negli ultimi anni ha iniziato a mettere fuori il naso dai confini nazionali, raggiungendo palchi di una certa importanza come quello del Pop Montreal o della rassegna SXSW di Austin. Il loro è uno modo di scolpire la materia musicale che non bada molto al dispendio di bpm e che non conosce mezzi termini espressivi. Chiarezza d’intenti che si traduce in un sound tambureggiante, infarcito di innesti elettronici che compensano gli spazi lasciati vuoti da batteria e chitarra elettrica. Degli undici brani in programma del loro “Discipline” rimane difficile sceglire un momento meglio messo a fuoco di altri, perché si tratta di un’idea espressiva continua, che non conosce né soste né deragliamenti stilistici. Difficile anche rimanere fermi ad ascoltare gli Electric Electric, dal momento che più di qualche passaggio risulta congeniale per gli amanti del dancefloor, ma anche per i tanti che sotto a un palco preferiscono perdere volentieri il senso dell’orientamento, vedi l’esemplificativa “Summer’s Eye”. Disponibile anche in doppio vinile.

Stumbleine: Spiderwebbed (Monotreme, 2012)

Dato diverse volte per defunto il Bristol sound riemerge dal sottosuolo spesso e volentieri vestito di sensibili variazioni, ma integro nelle intenzioni e nell’anima. È il caso di Stumbleine, producer che licenzia per Monotreme il godibilissimo “Spiderwebbed”. Dieci tracce curate nel dettaglio timbrico e ritmico, capaci di avvolgere l’ascoltatore in un abbraccio dai toni soffici e garbati. Questo anche grazie al supporto di ospiti funzionali alla causa, come i vocalist CoMa e Steffaloo che rendono di pregio tessiture armoniche pensate con estrema dedizione. Ritmi versati a un atteggiamento da club-culture carattrizzano l’iniziale “Cherry Blossom”, c’è la malinconia di una ballad inquieta come in “Fade into You” (cover del brano dei Mazzy Star), ci sono situazioni di piacevole smarrimento temporale, che spingono al lasciarsi andare sulle onde melodiche, ai piani sonori che si sovrappongono senza fretta alcuna. Quaranta minuti proiettati nell’attualità, con un piede nel passato e uno in procinto d’essere spinto verso evoluzioni future.

Intuitive Music Quartet: “Music from fur kommende seiten by Karlheinz Stockhausen” (Silta Records, 2012)

Non è impresa semplice addentrarsi nella musica eseguita dell’Intuitive Music Quartet, a meno che non si è pratici di maniere avanguardistiche e in particolar modo dell’opera firmata da Karlheinz Stockhausen. Questo perché il loro è un lavoro versato al ciclo di testi Für Kommende Zeiten, eseguito rispettando l’intenzione primaria del compositore tedesco. Ne viene fuori un album ostico, dove si alternano silenzi, note staccate, accostamenti timbrici azzardati, per un insieme che si muove in maniera incostante tra improvvisazioni estemporanee e situazioni di assoluta libertà formale, dove melodia, ritmo e punti di riferimento certi lasciano il posto a sorprese continue. La tromba di Mario Mariotti è forse l’unico elemento di riconduzione a una linea espressiva commestibile, mentre il lavoro di liquefazione sonora è ben messo in atto dal pianismo di Mell Morcone, dai suoni sintetici di Walter Prati e dal basso solitario di Giorgio Dini. Musica intuitiva.

mercoledì 10 ottobre 2012

Go!Zilla: Go!Zilla EP (Santavalvola, 2012)

Sei brani adrenalici stipati in quarto d’ora compongono l’ep omonimo dei Go!Zilla, duo fiorentino all’esordio composto da Luca Landi (chitarra e voce) e Andrea Delvento (batteria e voce), che hanno chiamato in causa Jason Ward per la masterizzazione effettuata in quel di Chicago. Il loro è un sound esportabile, basato su un approccio alla materia musicale molto concreto, fatto di slanci chitarristici, voci distorte e ritmi serrati, ben chiaro già nell’opener “I’m Bleeding”, brano che ricorda vagamente il riff della depechemodiana “Personal Jesus”. La storia cambia di poco nei restanti passaggi, spostando il nucleo espressivo di questa interessante realtà verso territori garage-punk, dove è alto il grado di coinvolgimento della musica prodotta. Uno scatto buono per la breve distanza, e che fa dunque ben sperare per un’eventuale prova sull’intero giro di pista.

TaranProject con Marcello Cirillo: “Rolica” + Live dvd (CNI, 2012)

Con “Hjuri di hjumari” i Taranproject di Mimmo Cavallaro e Cosimo Papandrea avevano tracciato la nuova strada per la tarantella calabrese, con un approccio istintivo e un modo di scolpire la materia musicale fresco e attuale. A poco tempo di distanza arriva “Rolica”, album che prosegue idealmente quel discorso, stavolta maggiormente rivolto a un pubblico più ampio, in nove brani dal suono meno aspro e più fruibile. A contribuire a questa sorta di livellamento espressivo contribuisce la presenza di Marcello Cirillo, calabrese di nascita e romano d’adozione, che ha scelto di contribuire in maniera spontanea alla causa portata avanti da questa interessante realtà. La miscela timbrica, fatta di fiati, percussioni, organetto, lira calabrese e inserti elettrici, riesce a cogliere nel segno e coinvolgere, tra rivisitazioni di canti popolari e brani originali, in un andamento coeso e dal buon impatto emozionale.

Dalle tante apparizioni live che hanno visto protagonisti Mimmo Cavallaro e soci è scaturito il dvd TaranProject: “Kaulonia Tarantella Festival” (CNI, 2012), che testimonia la grande forza espressiva di questa band, capace di attrarre e trascinare una folla danzante in quel di Caulonia (il 23 agosto 2011), comune situato nel cuore della Locride. L’elemento decisivo che emerge da questa ripresa dal vivo è proprio il ballo di alcuni dei protagonisti e della folla giunta sotto il loro palco, ingrediente basilare per l’esatta riuscita della formula stilistica proposta. Riprese semplici e senza effetti ritraggono la band – alla quale si unisce per alcuni brani Marcello Cirillo - per oltre un’ora nel suo splendore di colori e timbri, nel suo insieme colmo di positività fatto di tradizione e nuovi idiomi.

Buildings: Melt Cry Sleep (doubleplusgood, 2012)

C’è dell’energia in “Melt Cry Sleep”, il nuovo lavoro firmato Buildings, band di Minneapolis che in questi dieci brani continua a perseguire un discorso noise-rock a presa rapida e di sicuro coinvolgimento. Ritmi sostenuti, a tratti apocalittici, dinamiche sempre importanti, sonorità costantemente innestate di timbri ruvidi e ostili caratterizzano l’intera registrazione, cosicchè nella mezzora proposta non ci sono momenti per eventuali riflessioni, né per situazioni più tranquille. Brian Lake mantiene una condotta vocale dai lineamenti satanici, mentre la tensione ritmica è garantita dal drumming portentoso di Travis Kuhlman e dal nuovo bassista Sayer Payne. Emergono rigurgiti grunge, c’è l’irruenza del punk più genuino, e si avverte la sensazione che i ragazzi, oltre che a mostrare i muscoli, sappiano mettere in fila un discorso di coerenza stilistica, che sulla carta li potrebbe portare a una certa originalità, che per il momento si intravede tra le maglie fitte del loro album.

lunedì 8 ottobre 2012

Transmontane: Staring Back at You (Sick Room Records, 2012)

Ryan Duncan è la figura che si cela dietro al progetto Transmontane, giunto al secondo episodio dopo l’esordio de “Lo specchio circolare”. Il nuovo “Staring Back at You”, edito da Sick Room Records di cui il nostro è cofondatore, propone undici brani dal taglio cantautorale, innervati di sapori malinconici, scenari essenziali e colorati di tonalità grige e offuscate. In questo lavoro c’è una grande monotonia, che può rasentare i confini della noia, ma anche affascinare e colpire nel cuore di chi ascolta. Valutazione soggettiva, alla quale si contrappone la reale nitidezza di un modo espressivo lontano dalle soluzioni a portata di mano, che intraprende puntualmente la strada più in salita possibile. Sembra che Duncan ami mettere degli ostacoli tra lui e chi lo ascolta, perché oltre a un timbro ruvido e profondo si lascia accompagnare perennemente da una chitarra dal suono distorto, rugginoso. Disponibile in vinile e in formato digitale.

Keiki: Popcorn from the Grave (Cheap Satanism Records, 2012)

Dieci tracce stipate in poco più di mezzora compongono “Popcorn from the Grave”, terzo lavoro del duo Keiki, di base a Bruxelles. I ragazzi autodefiniscono il loro stile come satanic-pop, etichetta plausibile dal momento che l’album presenta sia soluzioni melodicamente morbide, sia atmosfere sinistre e introspettive. Proposta che potremmo collocare temporalmente nella seconda metà degli anni Ottanta, vicino a certe produzioni chiaroscurali della 4AD, e che risente in maniera positiva - soprattutto dal punto di vista ritmico - di una decisa iniezione di elettronica. L’album nel suo complesso si lascia ascoltare con interesse, anche se non ci sono momenti particolarmente coinvolgenti, né brani a presa rapida capaci di rimanere in mente al primo passaggio. I due ospiti presenti tra i credits (Pete Simonelli e Eugene Robinson) aggiungono un po’ di sale alla ricetta dei Keiki, che però in questo episodio strappano una sufficienza interlocutoria.

Tamales de Chipil: Un largo camino (UPR/Edel, 2012)

Sono italiani i Tamales de Chipil, ma si sono ispirati fin dalla loro nascita al Messico e alla sua musica, fatta di velata nostalgia, ritmi ballabili e sonorità calde e coinvolgenti. “Un largo camino” non fa eccezione in una discografia giunta al terzo capitolo e intervallata da partecipazioni a importanti festival in ambito latino-americano (Vivalatino 2012). In questo lavoro i ragazzi non dimenticano le loro origini con un’azzeccata cover di “Amara terra mia” di Domenico Modugno, spaziano andando a pescare nel repertorio di Jimi Hendrix, omaggiato con “Drifiting”, e accompagnano l’ascoltatore tra rifacimenti di musica popolare messicana e brani originali. Nel loro calderone stilistico vanno a confluire reggae, ska, bossa e un certo mood cantautorale tradotto dalla voce di Antonio Adamo Lauria, dal timbro deciso e dal piglio narrativo. Album interessante sia per chi già conosce questa variopinta realtà, ma che potrebbe rappresentare una via d’accesso anche per quelli che solitamente scartano a priori certe proposte.

giovedì 20 settembre 2012

The Crooked Fiddle Band: Overgrown Tales (Autoprodotto, 2012)

Non mancano di certo sotto il profilo dell’originalità gli australiani The Crooked Fiddle Band, al punto che anche Brian Eno ha avuto parole d’elegio per il loro particolare approccio stilistico. Un modo che trova il suo punto di forza espressivo nel violino di Jess Randall, dietro al quale agiscono gli altri tre elementi della band, che si dividono il compito d’impalcatura ritmico/armonica tra contrabbasso, batteria, chitarre, bouzouki e charango. Nel loro esordio “Overgrown Tales” (che segue un paio di Ep di riscaldamento) ci sono andamenti veloci e dai profumi balcanici (“Countness barthory’s Finishing School for Girls”) che si alternano a situazioni più compassate (“Clockwork Bride”) nelle quali predomina comunque il violino e le sue evoluzioni vertiginose, ipnotiche e prossime al delirio melodico. Si ha l’impressione di ascoltare la colonna sonora di una festa pagana, con tanto di sipario sciamanico (“The Mountain Hag’s Advice”) caratterizzato dalle voci e dal violoncello dell’ospite Russell Rolen, elemento aggiunto in un album di sicuro interesse.

Philippe Petit: Extraordinary Tales of a Lemon Girl – trilogy / Chapter Two: Fire-Walking to Wonderland (Aagoo Records, 2012)

“Extraordinary Tales of a Lemon Girl” è la trilogia ideata da Philippe Petit (ingranaggio fondamentale del progetto Strings of Consciousness) giunta al suo secondo capitolo con l’album “Fire-walking to Wonderland”, che segue il precedente “Oneiric Rings on Grey Velvet”. Si tratta di un lavoro che si sviluppa attraverso cinque parti (sono tutte prime take) dove regnano la libertà formale, l’atonalità ostinata, e una ricerca sonora che – a conti fatti – sembra portare per mano l’ascoltatore verso un territorio senza spazi definibili, né tempi quantificabili. Musica improvvisata, a volte astratta, costruita con l’utilizzo di una nutrita serie di strumenti (synths, turntables, processori) e non (palloni gonfiabili, registrazioni ambientali) che vanno a formare una sorta di colonna sonora della contemporaneità urbana, fatta di suoni slegati, stridenti e privi di coordinate stilistiche. Una matassa difficilmente districabile, che si crea tramite un continuo divenire, dove i piani sonori si accatastano con un rigoroso disordine melodico prossimo al caos. Ascolto non semplice ma intrigante per coloro in cerca di situazioni decisamente fuori dalle consuetudini.

Il sogno il veleno: Piccole catastrofi (Seahorse Recordings/Audioglobe, 2012)

“Piccole catastrofi” è il passo d’esordio de Il sogno il veleno, una proposta cantautorale dal sapore un po’ retrò che in questo lavoro racchiude dieci brani dall’anima cinematografica (il disco è dedicato a Pier Paolo Pasolini) e con un’intenzione dalle forti prerogative descrittive. La band trova il suo segno di riconoscimento nella voce di Alex Secone, il quale si muove su degli sfondi che sanno essere sognanti e trasparenti, come nella conclusiva “Comizi d’amore”, ma anche spensierati e carichi di melodia orecchiabile, come nella pop-oriented “Nouvelle Vague”. I ragazzi raggiungono il giusto equilibrio tra espressione e significati quando i toni si fanno più malinconici e vagamente eleganti (“Le cose importanti”); riescono a mettere insieme una buona varietà stilistica passando da situazioni fumose e introspettive (“Storia quasi d’amore”) ad altre più informali (“Paese sera”). Nell’album manca il singolo a presa rapida, capace di aumentare la cifra di attenzione verso questa realtà, ma probabilmente non era nelle loro strategie e in quelle del produttore Paolo Messere (ex Ulan Bator).

mercoledì 12 settembre 2012

Zulus: “Zulus” (Aagoo Records, 2012)

Otto brani, ventudue minuti, un’elevata cifra d’adrenalina pura. Sono questi i numeri di “Zulus”, l’omonimo disco della band di base a Brooklyn, capace di sviluppare un approccio alla materia musicale d’assalto, che potremmo etichettare come incrocio tra punk puro e post-hardcore. Roba per cuori forti, tanto per capirci. A cominciare da brani come “Tremolo”, in grado di minare profondamente qualsiasi tentativo di costruire una linea melodica amichevole. I ragazzi fanno leva su un andamento ritmico forsennato, testi visionari e assoluto divieto per un momento di silenzio. Trovano il loro orgasmo stilistico nella conclusiva “Death in the Current”, anche se i passaggi di tensione sono diversi e caratterizzano l’intera registrazione. Come nella tellurica “By Night and Spear”, passando per la scheggia impazzita “Blackout” e per “Kisses”, una sorta di manifesto punk, per via della sua espressività diretta e condita da suoni senza fronzoli. Gli Zulus non concedono time out per riflettere, né situazioni per prendere fiato. C’è solo da correre.

The Vindicators: Greatest Hits (Go Down Records, 2012)

Qualcuno si ricorderà dei Vindicators, band nata dallo scioglimento dei Frigidaire Tango, stilisticamente ispirata ai Fleshtones, in grado di dare alla luce un paio di album nella seconda metà degli anni Ottanta. Per tutti gli altri arriva il “Greatest Hits”, che raccoglie in due cd il meglio della loro produzione, quattro brani inediti e un live ripreso in varie location. Siamo in ambito rock, caratterizzato da andamenti ritmici sostenuti, originalità espressiva ottenuta grazie all’apporto dei fiati e una capacità di attenuare i toni per creare momenti più riflessivi, dal taglio cantautorale. La parte in studio conta su una scaletta di venti brani che si lasciano ascoltare senza fatica, poiché le linee melodiche sono costantemente in assonanza e prive di situazioni dalla chiave di lettura difficile. Musica che sa coinvolgere, e che nella parte registrata dal vivo (diciotto brani, con una qualità audio non levigata) assume connotazioni ancor più sanguigne e veritiere, capaci di riflettere la carica emotiva prodotta da Charlie Out Cazale e soci. Una buona riscoperta, lontana dalle tendenze ammiccanti e modaiole.

The Junction: Let Me Out! (Dischi Soviet Studio, 2012)

I The Junction (Marco Simioni, Francesco Reffo, Alberto Bettin) arrivano alla pubblicazione del loro primo album con ottime credenziali, accumulate con diverse date live, apparizioni radiofoniche ed EP. Il loro “Let me Out!” propone una formula stilistica semplice, ma efficace, nella quale si avverte netta l’influenza della scena punk di fine Settanta e il rock orientato verso Franz Ferdinand e derivati. Le undici tracce di questo lavoro sono giocate su ritmiche medio-veloci, ritornelli orecchiabili e inneschi melodici a presa rapida. Si tratta di musica dalla notevole cifra coinvolgitiva, vedi il potenziale singolo scala classifica “Mayday”, che in certi casi riesce ad esprimere anche un modo meno forsennato e più attento ai particolari, come in “Sleeping Dancer”, brano nel quale i ragazzi si lasciano apprezzare per il buon gusto compositivo. C’è da dire che il trio ha un ottimo feeling con la materia sonora, anche se ancora deve trovare la propria via per arrivare all’originalità.

sabato 8 settembre 2012

Rossopiceno: Come cambia il vento (Upr/Edel, 2012)

“Come cambia il vento” è il secondo album dei Rossopiceno, gruppo marchigiano che si è già messo in mostra per una serie di buone prestazioni live e collaborazioni di rilievo in ambito nazionale. Su tutte l’inserimento del loro brano “C’era” nel recente lavoro dei Modena City Ramblers (“Battaglione Alleato”), band con la quale Emidio Rossi (voce) e compagni sono idealmente legati sia da un’ispirazione stilistica marcata, ma anche oggettivamente, perché Francesco Moneti (violino dei MCR) ha curato la produzione di questo lavoro. Undici brani che trasudano rabbia, amore e voglia di ribellione, nei quali fanno la loro comparsa Ascanio Celestini con una lettura d’introduzione a “Camice e tute” e Marino Severini (Gang) che presta la sua voce nella title track. Brani che parlano la lingua del combat rock tricolore, partigiano, apertamente schierato e vagamente incazzato, giocato su tempi medio-veloci, testi impegnati che narrano difficoltà quotidiane, intrecci melodici coinvolgenti fatti di fisarmonica, flauto e chitarre. I ragazzi sanno dire la loro senza ricorrere alle maniere forti e senza urlare. Tutto lodevole, anche se poco originale.

Simone Zanchini: My Accordion’s Concept (Silta records, 2012)

C’è del coraggio nel lavoro di Simone Zanchini. C’è la voglia di rompere gli schemi e proporre una musica che non conosce il significato della parola “consuetudine”. Terre di nessuno, spazi inesplorati e orizzonti di puro astrattismo emergono dal suo “My Accordion’s Concept”, un disco difficile e dunque buono per chi non ha voglia di fermarsi alle apparenze, a un ascolto superficiale. Si tratta di un album di fisarmonica in solo, dove Zanchini propone un approccio improvvisativo quasi totale, riuscendo a descrivere un percorso zigzagante, che in otto tracce sfiora territori di assoluta libertà espressiva. La sensazione è di trovarsi costantemente di fronte a un terreno impervio, sconnesso, fatto di suoni slegati, sovrapposti e contrari. Il nostro fa un uso discreto della componente elettronica, introducendo rumori e soluzioni che si discostano dal timbro classico dello strumento. La fisarmonica come, probabilmente, non l’avete mai ascoltata.

Peter Cincotti: Metropolis (Heads Up International, 2012)

“Metropolis” è il quarto album del cantante e pianista Peter Cincotti, che in questo nuovo episodio propone una scrittura orientata in maniera decisa verso i luccicanti lidi della pop-music, intesa come territorio dove a farla da padrone sono ritornelli a presa rapida, intelaiature melodiche leggere e ripetuti tentativi di infilare il singolo da classifica. Dodici brani che nelle intenzioni di Cincotti descrivono l’attuale paesaggio urbano e che si discostano dai precendenti lavori, confermando la sua vocazione nel riuscire a ottenere un buon equilibrio tra leggerezza formale e profondità espressiva. Molte tastiere, inneschi ritmici ben studiati, andamenti smussati e sempre sereni, senza grinze né imprevisti, compongono un insieme liscio come la pelle di un neonato. Tra i passaggi meglio messi a fuoco va messo “Madeline”, un brano delicato, dove trova posto un arrangiamento d’archi che fa da sfondo a un primo piano vocale timbricamente più deciso. Non un capolavoro, ma un album che può starsene discretamente in sottofondo e nel quale, all’occorrenza, si può rintracciare qualche significato.

mercoledì 11 luglio 2012

The Last Fight: Miracles

Tre brani compongono l’EP Miracles, firmato dai The Last Fight, band che ha già all’attivo un lavoro sulla distanza che conta dal titolo Right of Wave. Le tracce qui proposte non aggiungono grandi novità alla tendenza stilistica del quartetto, che rilascia un sound dall’approccio rock molto deciso, come testimoniato dalla tambureggiante traccia d’apertura, che dà il titolo a questa pubblicazione. La seguente Kiss Cosmic è un brano dipinto con colori leggermente più tenui, anche se la voce di James F. Dini risulta essere l’elemento primario dell’espressione complessiva del gruppo, dietro al quale si muove uno scenario che trova la giusta tensione tra la chitarra elettrica e la sezione ritmica. I nostri giocano le loro carte sull’innesco di ritornelli a presa rapida, che però non sempre lasciano un segno tangibile, come nella conclusiva The Importance of Being Connected.

Clan Bastardo: Clan Bastardo

Quattordici brani, cantati in italiano e stipati in poco più di mezzora, compongono l’album d’esordio dei Clan Bastardo, formazione nata dall’unione dei fratelli Pino (voce e chitarra) ed Enzo Di Guglielmo (basso), ai quali si sono affiancati il batterista Dino Magnotta e il chitarrista Stew Page. Il loro sound è un punk-rock di chiara ispirazione Clash, rivisto e forgiato con approccio dinamico alla materia musicale, scolpita a furia di ritmi martellanti e andamenti che non lasciano spazio alle riflessioni. Questo lavoro arriva dopo un periodo di rodaggio, e denuncia la buona maturità della band campana, che sa farsi valere in particolar modo dal vivo, dove i testi graffianti e rabbiosi arrivano a coinvolgere il pubblico senza possibilità di scampo. Tra i brani più incisivi segnaliamo Whiskey e puttane, che sintetizza l’attitudine dei Clan Bastardo.

martedì 10 luglio 2012

Espresso Atlantico: Espresso Atlantico

Gli Espresso Atlantico danno alle stampe il loro primo album omonimo, che in poco più di mezzora riesce a mettere in mostra un arco espressivo capace di abbracciare diversi generi. Si tratta di un viaggio immaginario che tocca diversi lidi stilistici, come il tango di Tango negro e la tarantella di Tarantella aia sassa, i sapori dell’est Europa di La Balalaika di Kaluga e il valzer elegante di La Valse à Margaux. Rivisitazioni di brani di grandi artisti, come la splendida Escualo di Astor Piazzolla, e pezzi originali – firmati dal pianista Andrea Gattico – si fondono in una miscela inebriante di profumi e sapori, in un continuo cambio di scenario che cattura l’attenzione dell’ascoltatore di turno. Inoltre, in un’amalgama di sicuro interesse, non mancano le parentesi ballabili, come il cha cha dell’iniziale Donde estas Yolanda.

Antinomia: Illusioni ottiche

Gli Antimonia sono una rock band piemontese che finora si è fatta notare per una serie di live in ambito nazionale e per l’EP Sottobosco (2010). Illusioni ottiche è il loro primo album, nel quale riversano un’attitudine rock che rimanda in mente situazioni già esistenti del panorama italiano, leggi Litfiba e dintorni. Le undici tracce che compongono la tracklist formano un insieme nel quale la figura primaria risulta essere la voce profonda e graffiante di Riccardo Rizzi, dietro al quale si muove uno sfondo fatto di chitarra elettrica, tagliente e rugginosa quanto basta, e una rocciosa sezione ritmica. Testi in italiano, che parlano delle contraddizioni dell’attuale società, approccio deciso e tanta voglia di portare a galla la propria idea musicale fanno di questa band una realtà interessante, con le carte in regola per riuscire ad emergere.

Anna Cinzia Villani e MacuranOrchestra: Fimmana, mare e focu!

Da sempre attiva nell’ambito della riscoperta e della riproposizione della musica tradizionale salentina Anna Cinzia Villani conferma in Fimmana, mare e focu! la sua attitudine stilistica e la sua forza espressiva, attraverso un repertorio che spazia tra composizioni inedite e canti tipici della sua terra. Tredici brani che hanno come filo conduttore la figura femminile nell’immaginario popolare, spesso oggetto di canzoni, poesie e serenate, nei quali la voce della Villani rappresenta un primo piano di inarrivabile fascino, carica della giusta enfasi e di una cifra interpretativa notevole. A contorno la pizzica, ma anche situazioni chiaroscurali, accennate, e un contesto musicale che sfugge al facile incasellamento perché pieno di derivazioni e stili lontani, dalle semplici canzoni alle rarefazioni di matrice jazzistica.

Baye Fall: Immigration

Idrissa Sarr, in arte Baye Fall, è un rapper senegalese che dopo numerose collaborazioni nell’ambito hip-hop del proprio Paese è arrivato in Italia con il sogno di far conoscere la sua musica. Idea che è diventata realtà grazie alla label salentina 11/8, e concretizzata nell’album Immigration. Titolo emblematico, dal momento che i testi – cantati in inglese, italiano, francese e lingua wolof – parlano di immigrazione e di storie relative a un problema che non trova soluzione di continuità. Razzismo dunque, ma anche sfruttamento di persone attratte da una prospettiva di vita migliore che spesso si rivela fasulla, alle quali si rivolgono i tredici brani in programma. Tracce dietro le quali agisce Cesare Dell’Anna, compositore e direttore artistico di questo interessante progetto che si muove tra afrobeat, manipolazioni dub e rap in senso stretto.

venerdì 6 luglio 2012

Massimo Barbiero e Marcella Carboni - feat: Maurizio Brunod: Kandinsky

Interessante incontro tra le sonorità africane prodotte del percussionista Massimo Barbiero (Odwalla) con il dolce suono d’arpa di Marcella Carboni e le tensioni chitarristiche di Maurizio Brunod, Kandinsky si propone come un lavoro denso di significati espressivi, varietà formale e dallo sviluppo intrigante quanto coinvolgente. Si tratta di dieci brani originali – più la rivisitazione di Come Sunday (Duke Ellington) - legati tra loro dalla voglia di eplorare scenari inediti, intenzione che caratterizza tutte le uscite discografiche – sia di gruppo che in solo – nelle quale troviamo coinvolto Barbiero. In questo nuovo episodio c’è l’idea del suono che si materializza in colori e visioni inedite, tradotte da un triangolo strumentale che produce loop ipnotici, note staccate e sospese, andamenti irregolari, intrecci di corde e pelli piacevolmente sorprendenti.

Ada Montellanico: Suono di donna

Dieci brani di ispirazione stilistica lontana – si va dal pop di Carmen Consoli alla storia del jazz di Abbey Lincoln – compongono il nuovo lavoro firmato dalla vocalist Ada Montellanico, la quale ha affidato il complesso compito di arrangiamento a Giovanni Falzone, che a sua volta ha fatto leva su un gruppo di musicisti giovani e duttili, tra i quali Francesco Diodati (chitarra) e Alessandro Paternesi (batteria). Suono di donna si ispira all’universo poetico femminile e rivela un’anima profonda e coesa, dove la voce e la tromba svolgono ruoli primari, trovando nei suoni e nelle parole una grande liricità e una forza espressiva notevole. Il lavoro, giocato su timbri forti e atmosfere strumentali di grande impatto, presenta diversi momenti di interessante sviluppo formale, anche quando, come nell’originale appositamente composto (Meteora), i toni si fanno più soffusi e pensosi.

Alessandro Bertozzi: Crystals

Undici brani originali compongono Crystals, l’album nel quale il saxofonista Alessandro Bertozzi propone una miscela stilistica che include derivazioni funk, venature soul e mainstream jazz. Il leader si distingue per i suoi lunghi soli, nei quali sviluppa melodie dalla grande canatabilità, come nell’iniziale Da Vince Blues, che formano il primo piano di una scenario nel quale compaiono diversi musicisti come, tra gli altri, Andrea Braido, John Patitucci e Hiram Bullock, splendida voce in Why Must I Wait. O come Randy Breacker che segna in maniera indelebile Falling Leaves, uno dei momenti più intimi e introspettivi di un programma che emana una notevole quantità di groove e passaggi dal tiro ritmico più importante. Si tratta di un lavoro interessante, perché costruito con intelligenza da Bertozzi e con grande unione di intenti malgrado un’affollata credits list.

Max De Aloe Quartet: Björk on the Moon

L’armonicista Max De Aloe innesta nelle tessiture timbriche del suo quartetto – completato da Roberto Olzer (piano, Fender Rhodes), Nicola Stranieri (batteria) e Marco Mistrangelo (contrabbasso) – il violoncello barocco di Marlise Goidanich per dar vita a Björk on the Moon, un progetto incentrato sulla musica della cantante islandese. In tal senso non siamo al primo tentativo che si registra nell’area jazzistica, ma il lavoro di De Aloe si distingue per la grande voglia di allargare gli orizzonti del repertorio, facendo proprio il nocciolo compositivo per poi intraprendere percorsi che non ti aspetti. Così Hyper Ballad diventa un pretesto per un’improvvisazione collettiva di grande spontaneità; Overture un episodio dall’approccio poetico; Come to Me vira in territori melodici più ampi e solari, in un insieme che ha diversi motivi per farsi ricordare.

Bebo Ferra: Specs People

Per il suo nuovo lavoro Bebo Ferra sceglie l’assetto chitarra-Hammond-batteria, dando vita a un percorso interessante composto da brani originali, sconfinamenti in ambito rock (Satisfaction) e nella musica da film (Gran Torino). Un insieme tenuto legato dal comune senso della profondità espressiva, tradotta dalla chitarra elettrica del leader – molto melodica, ma anche tagliente all’occorrenza - e dal tipico suono dell’Hammond, capace di avvolgere il tutto in un’atmosfera inevitabilmente vintage. Tra le cose migliori di Specs People va segnalata l’iniziale Scuro, dove il leader rilascia sia valore tecnico che comunicativo, in un brano che ben riassume l’intenzione di spaziare tra generi e approcci stilistici diversi. Il trio si muove da situazioni cullanti ad altre intrise di psichedelia, in cinquanta minuti che sanno come rapire l’attenzione di chi ascolta.

sabato 23 giugno 2012

Lips Against the Glass: Vivid Colour

La sempre attenta Seahorse dà alle stampe “Vivid Colour”, l’album di debutto dei Lips Against the Glass, band che si muove in territori post rock, valorizzati e resi più accattivanti da un apporto elettronico deciso, azzeccato sia per rimarcare le trame ritmiche che per dare maggiore risalto alle lunghe ellissi melodiche che caratterizzano buona parte della scaletta. In programma troviamo dieci tracce, tra le quali va messo un asterisco vicino a “56”, brano che più di altri riesce a catturare l’attenzione di chi ascolta, proprio perché condensa le attitudini sopra elencate, con un approccio alla materia musicale istintivo, irruento e molto ben messo a fuoco. La musica prodotta dai Lips Against the Glass vira spesso su andamenti sostenuti, ipnotici e ripetitivi, cosicchè può risultare adatta anche in un contesto dance-oriented (“Tremolo”) o ambient (“Keep Focus”), anche se – nel complesso – i ragazzi prediligono i toni chiaroscurali, le figure in penombra, da osservare a lungo prendendosi il tempo necessario.